La Corte dei Conti Europea svela i segreti della Torino-Lione
Fin dal 2003 i massimi esperti a livello europeo avevano lanciato l’allarme circa il rischio di fallimento delle Grandi Opere che in genere hanno prestazioni molto scarse, spesso con notevoli sforamenti di costi e carenze di mercato.
La Corte dei Conti Europea (ECA) ha esaminato a fondo il progetto Torino-Lione e ha scritto, tra l’altro, nel suo Rapporto Speciale n. 10/2020 Riquadro 2 a pagina 27: “Notevoli differenze tra i livelli di traffico effettivi e quelli previsti”, confermando ciò che lo stesso Quaderno n. 10 dell’Osservatorio del Governo Italiano (pag. 81) aveva affermato.
La Corte dei Conti Europea ECA ha anche rivelato (cfr. pagina 33, punto 38 del Rapporto Speciale n. 10/2020) che: “… nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese (LTF-TELT, N.d.R.) ha stimato che la costruzione del collegamento transfrontaliero Lione-Torino, insieme alle relative linee di accesso, avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. Secondo le sue stime, la Torino-Lione non produrrà un beneficio netto in termini di emissioni di CO2 prima di 25 anni dopo l’inizio dei lavori. Invece, sulla base delle medesime previsioni di traffico, gli esperti consultati dalla Corte hanno concluso che le emissioni di CO2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura. Per di più, quella previsione dipende dai livelli di traffico: se i livelli di traffico raggiungono solo la metà del livello previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate.”
Tutto ciò conferma che il progetto Torino-Lione è stato sottoposto ad un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare e a valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate, come ha indicato nei suoi studi il prof. Bent Flyvbjerg (1), considerato il massimo esperto europeo di Grandi Opere.
Egli ha da tempo lanciato un allarme: “Ci sono sempre stati dei Grandi Progetti che sono falliti, la differenza oggi è che adesso ce ne sono molti di più, sono molto più grandi, e i fallimenti sono più spettacolari”.
È noto agli studiosi del settore che alla base delle crescenti difficoltà a portare a termine i mega progetti ci sono ragioni ecologiche, economiche e di resistenza sociale che rendono queste iniziative -che richiedono investimenti miliardari- più difficili e rischiose da realizzare. Anche perché la scala colossale della progettazione e della realizzazione dei mega progetti rende problematica l’impostazione delle attività e la valutazione dei costi.
Il tempo che intercorre tra la progettazione e la fine della costruzione è di dieci e più anni, un tempo sufficiente perché le condizioni di mercato cambino in modo significativo. Ormai ogni mega progetto si conclude dopo il tempo previsto, e con costi molto maggiori. Questo rende sempre più nervosi gli investitori.
È ancora Bent Flyvbjerg a spiegare che “il cambiamento climatico e la transizione da una economia da fonti fossili a un’economia basata sul rinnovabile hanno un grosso impatto sui mega progetti”.
Come memento per le decisioni degli imprenditori e dei finanziatori, Bent Flyvbjerg si è posto questa domanda: “Perché si realizzano i progetti peggiori e non i migliori? Ci si aspetterebbe che gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale al volume finanziario di un’iniziativa”.
Sorprendentemente, però, le analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle aspettative.
Ovvero, i progetti di dimensione maggiore come la Torino-Lione sono quelli più soggetti a fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione rispetto a quelli più piccoli.
Tra le cause del fallimento Bent Flyvbjerg ha individuato queste:
- un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare,
- valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate,
- decisioni di (iper) progettazione in una fase iniziale di pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti significativi ai piani,
- diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi,
- la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi successivi le pretese supplementari,
- competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti pubblici che gestiscono il progetto,
- una struttura inappropriata delle società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in modo da dare privilegi ad alleati politici.
Questa pare essere anche la situazione del progetto della Torino-Lione, confermata dall‘Osservatorio Governativo Torino-Lione che aveva scritto a pagina 80-81 del Quaderno n. 10 (3/2018) a proposito del Progetto Torino-Lione: “Non c’è dubbio che molte previsioni fatte 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti”.
La “buona fede” dei promotori è tutta da dimostrare. Anche ad un osservatore distratto la base dei dati di previsione assunta da TELT per la promozione del progetto Torino-Lione appare una vera e propria manipolazione.
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[1] Bent Flyvbjerg, professore di Management delle Grandi Opere presso la Saïd Business School della Oxford University
What You Should Know About Megaprojects and Why: An Overview Bent Flyvbjerg,
https://en.wikipedia.org/wiki/Megaprojects_and_Risk (2003)
The New Yorker THE TROUBLE WITH MEGAPROJECTS – High-Speed Rail Is a Waste of Money, for Decades to Come
Via i megaprogetti ! Arrivano i teraprogetti E’ iniziata l’era dei terascandali
DOCUMENTAZIONE INTEGRATIVA
Prefazione di Werner Rothengatter* del libro di Marco Ponti “Solo Andata”
* Professore emerito di Economia dei trasporti presso l’Istituto di Economia politica del Karlsruher Institut für Technologie.
I grandi progetti (o megaprogetti) sono caratterizzati, secondo Bent Flyvbjerg[1] della Saïd Business School dell’Università di Oxford, da quattro aspetti eccezionali (sublimes) che possono avere natura tecnologica, politica, economica o estetica.
Le tecnologie innovative o le prestazioni tecnologiche estreme sono affascinanti per gli ingegneri, che si sentono sfidati a dimostrare capacità fuori dal comune. I policy makers e i loro sostenitori si aspettano che la regione interessata ottenga una maggiore visibilità e i politici responsabili a vario titolo una reputazione migliore. Uomini e donne d’affari sognano di creare occasioni importanti per fra crescere i profitti delle loro imprese. Per finire, l’estetica di un progetto può contribuire a rinnovare l’immagine di una regione o di una città, assegnando loro un segno di riconoscimento visibile, da piazzare su foto e magliette.
Tali aspetti eccezionali sono spesso accampati dai promotori per giustificare i costi estremamente alti dei megaprogetti, costi che possono raggiungere svariati miliardi di euro. Ci si aspetterebbe che gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale al volume finanziario di un’iniziativa. Sorprendentemente, però, le analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle aspettative, ovvero che quelli di dimensione maggiore sono più soggetti a fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione rispetto a quelli più piccoli. In alcune di queste circostanze, i processi di pianificazione arrivano a somigliare alla costruzione di una casa il cui inesperto proprietario, dirigendone i lavori, inizia con molto entusiasmo per finire poi in preda alla disperazione assoluta. È quello che succede per esempio quando un’iniziativa è gestita da un’amministrazione locale o regionale per la quale il megaprogetto rappresenta una sfida eccezionale: gli sforamenti sui costi o sui tempi possono allora essere giustificati proprio dall’eccezionalità.
Casi di fallimento involontario di questo tipo, in materia di pianificazione, sono però una minoranza rispetto ai fallimenti legati in modo più sostanziale ai processi di pianificazione e di finanziamento, e previsti in piena consapevolezza da parte dei soggetti promotori.
Le cause dei fallimenti citate con maggior frequenza sulle riviste e negli studi scientifici sono[2] :
• un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare, non sufficientemente supportata da promotori pubblici e privati;
• decisioni di (iper) progettazione in una fase iniziale di pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti significativi ai piani;
• competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti pubblici che gestiscono il progetto, o una struttura inappropriata delle società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in modo da dare privilegi ad alleati politici;
• valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate;
• la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi successivi le pretese supplementari;
• la mancata cooperazione tra progettisti, società di costruzione e autorità pubbliche, che conduce spesso a contese legali e interruzioni dei lavori;
• diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi.
Fallimenti di questo tipo sono addirittura favoriti se il progetto è finanziato da soggetti esterni, come per esempio il progetto del tunnel stradale di Boston (il «Boston Big Dig»), finanziato dal governo federale degli Stati Uniti. Molti grandi progetti locali relativi ai trasporti pubblici (tram, metropolitane) hanno questa caratteristica e introducono incentivi che spingono l’amministrazione locale e gli stakeholder che li promuovono a manipolare le cifre relative a costi e benefici per ottenere l’approvazione del cofinanziamento federale.
Nel caso degli aspetti di natura estetica (l’esempio può essere quello di progetti culturali come l’Opera House di Sydney o la Elbphilharmonie di Amburgo) è fenomeno più o meno naturale che politici, artisti e mezzi di comunicazione intervengano continuamente a incrementarne la complessità, nonché le deviazioni dai piani iniziali. Malgrado tutti i disastri di pianificazione e costruzione, alcuni di tali progetti culturali alla fine possono arrivare a simboleggiare l’attrattività della città, tanto che gli sforamenti sui costi e sui tempi possono essere compensati dal maggior numero di visitatori.
Anche nel caso delle innovazioni straordinarie di natura tecnologica non ci si può aspettare che le idee originarie possano essere realizzate esattamente come pianificato, di conseguenza le deviazioni dalle stime iniziali dei costi rappresentano la norma e non l’eccezione.
Alcuni esempi sono il MagLev, il treno a levitazione magnetica che collegherà Tokyo e Ōsaka attraverso Nagoya, in cui la stima dei costi per la tratta iniziale da Tokyo a Nagoya e stata incrementata di circa 100 miliardi di dollari; o il progetto Hyperloop, considerato un’alternativa ai treni ad alta velocita sulla West Coast degli Stati Uniti, rispetto al quale i promotori al momento dichiarano pubblicamente solo i costi medi stimati per la costruzione di un chilometro di linea in aree non urbane, escludendo le ben più costose tratte in pieno centro, e le stazioni e gli impianti di emergenza.
Tuttavia, quando si tratta di pianificare aeroporti, ponti, autostrade o tratte ferroviarie ad alta velocita, gli argomenti basati sull’eccezionalità degli aspetti estetici o tecnologici non valgono. Le componenti innovative infatti sono limitate, e quindi la maggior parte del progetto può essere pianificata e ingegnerizzata sulla base di conoscenze già esistenti e collaudate. Malgrado in genere un megaprogetto non abbia precedenti in una determinata zona, esistono infatti diversi progetti simili nel mondo, da cui a posteriori trarre esperienze per stimare costi, rischi e potenziali benefici in modo più affidabile. Nel caso delle ferrovie ad alta velocita, gli economisti esprimono dubbi su un numero sempre più grande di progetti, circa il fatto che l’enorme investimento sia giustificato da benefici economici[3]. In particolare, i rapidi sviluppi di queste reti in Cina[4] o in Spagna[5] sono oggetto di analisi critica: il risultato è che una parte considerevole di tali investimenti può essere giustificata solo da argomenti politici, a volte basati sull’equità regionale o sulla tutela dell’ambiente (dal punto di vista climatico). Ciò solleva tuttavia rilevanti interrogativi circa il fatto che gli impatti auspicati in termini di equità regionale e tutela dell’ambiente possano essere ottenuti in modo più economico mediante altre misure.
Detto ciò, sarebbe tuttavia fuorviante classificare tutti i megaprogetti, e in particolare i piani per le ferrovie ad alta velocità, come «disastri annunciati». Se si prende la decisione, come collettività, di ridurre gli impatti ambientali dei trasporti e si identifica un trasferimento modale verso le ferrovie come passo efficace in tale direzione, occorrerà promuovere un profondo cambiamento in termini di attrattiva del trasporto ferroviario. Sarebbe quindi necessario sottoporre le reti ferroviarie ad attività che richiederanno altri investimenti straordinari, dato che, nei decenni di disponibilità a buon mercato dei terreni e di altre risorse, i policy makers responsabili dei trasporti hanno preferito costruire autostrade, meno onerose per le casse pubbliche. Una ristrutturazione delle ferrovie è comunque estremamente costosa e può essere giustificata dal punto di vista economico solo se tali investimenti saranno accompagnati da politiche ancora più severe in materia di traffico stradale, come nel caso degli investimenti sui tunnel AlpTransit in Svizzera e delle misure politiche associate. Un altro esempio di questo tipo di interventi è il modo in cui è stata creata artificialmente una domanda relativa al progetto MagLev in Giappone, attraverso l’imposizione di limiti al trasporto aereo domestico mediante il congelamento della capacità dell’aeroporto Haneda di Tokyo.
In Italia diversi megaprogetti sono al centro di accesi dibattiti, e potrebbe essere utile ricorrere al paradigma degli aspetti eccezionali per descriverli.
Nel caso del ponte sullo stretto di Messina, per esempio, l’argomento politico prevalente è basato sullo sviluppo regionale di Calabria e Sicilia, regioni meno sviluppate rispetto al resto del paese. In queste circostanze, tuttavia, quel progetto non sembra eliminare un collo di bottiglia, come invece nei casi dei ponti sul Bosforo, sul fiume Tago o sull’Øresund; è difficile aspettarsi una crescita automatica delle economie regionali indotta unicamente da un ponte. Un investimento di questo tipo dovrebbe dunque essere inserito in un contesto di misure politiche volte a promuovere la competitività economica regionale nel suo complesso, così da generare benefici maggiori dei costi dell’investimento.
Nel caso del progetto relativo alla ferrovia Torino-Lione sembra prevalere l’argomento di tipo ambientale, ma resta da verificare se sia possibile adottare misure aggiuntive, insieme a parametri di progettazione ridotti, per raggiungere gli stessi obiettivi ambientali contenendo i costi pubblici entro limiti accettabili.
l progetto della ferrovia Milano-Genova sembra motivato principalmente dagli impatti economici, perché la tratta fa parte del corridoio tra Rotterdam e Genova, in particolare per il trasporto merci. Progetti di questo tipo richiedono tuttavia un’attenta analisi degli eventuali impatti economici più ampi («wider economic benefits»), al di là delle stime sui risparmi diretti in termini di tempo e di costi operativi. Ciò significa che la tradizionale analisi costi-benefici, che pur ha il vantaggio di numerose applicazioni e un alto livello di standardizzazione, dovrebbe essere estesa a uno studio dei citati impatti economici più ampi, sotto la supervisione di un comitato scientifico indipendente, in assenza di standard nazionali o internazionali per questi aspetti dell’analisi.
Il libro di Marco Ponti inizia citando l’opera dell’ingegnere francese Jules Dupuit alla metà del XIX secolo.
Riguardo al dibattito sui megaprogetti, due intuizioni di Dupuit sembrano degne di nota: prima di tutto suggerì di considerare il valore aggiunto che un progetto relativo ai trasporti può generare in tutti i mercati interessati. Ciò implica che il tradizionale approccio costi-benefici, se limitato al valore generato all’interno del mercato dei trasporti, potrebbe essere eccessivamente circoscritto e che bisognerebbe tener conto degli impatti economici più ampi. Tuttavia Dupuit si oppose fermamente alla visione di Léon Walras, secondo cui occorre considerare le infrastrutture di trasporto come un «bene pubblico», il che comporterebbe imporre tariffe basate sui soli costi marginali, e finanziare il deficit che ne risulta mediante risorse pubbliche: la presenza di costi fissi elevati e rendimenti di scala crescenti non è infatti per Dupuit un argomento sufficiente a giustificare le sovvenzioni pubbliche.
Bisognerebbe invece adottare modalità di progettazione molto attente e, una volta approvato il progetto, ogni sorta di politica fiscale e di pricing efficace per ridurre al minimo il cofinanziamento pubblico.
Seguendo questa logica, anche i megaprogetti motivati principalmente in base ad argomenti di equità e di tutela dell’ambiente dovrebbero essere sottoposti a verifiche più attente dal punto di vista della configurazione economica ottimale per contenerne l’onere per lo Stato. Ciò è in linea con le visioni critiche di Marco Ponti, presentate in questo libro, sui fondamenti razionali delle politiche di investimento nei trasporti in Italia. Sua intenzione è quella di incrementare la trasparenza dei futuri processi di pianificazione e di finanziamento e di dare a tutti i soggetti coinvolti informazioni imparziali su tutti gli impatti, evitare errori di valutazione ed accrescere la fiducia della collettività nelle politiche di investimento nei trasporti.
[1] Bent Flyvbjerg, «What You Should Know about Megaprojects and Why: An Overview», Project Management Journal, aprile-maggio 2014, 45(2), pp. 6-19.
[2] Werner Rothengatter, «Risk Management for Megaprojects», in Kai Wegrich, Genia Kostka, Gerhard Hammerschmid (eds), The Governance of Infrastructure, Hertie Governance Report, Oxford, Oxford University Press, 2017.
[3] Claus Doll, Werner Rothengatter, Wolfgang Schade, «Results and Efficiency of Railway Infrastructure Financing in the EU», Study for the European Parliament, Brussels, 2015.
[4] Claus Doll, Werner Rothengatter, Wolfgang Schade, «Results and Efficiency of Railway Infrastructure Financing in the EU», Study for the European Parliament, Brussels, 2015.
5 Daniel Albalate, Germá Bel, «La experiencia internacional en alta velocidad ferroviaria», Documentos de Trabajo, 02, FEDEA, Madrid, 2015.