… Il Rapporto Giuridico che dimostra questo diritto …
L’uscita dell’Italia dal progetto Torino-Lione è un diritto stabilito dall’Unione europea e un dovere sulla base delle constatazioni tecnico-economiche, come stabilito dal Regolamento CEF che mira ad accelerare gli investimenti nel campo delle reti transeuropee e a stimolare gli investimenti sia pubblici che privati nel rispetto del principio della neutralità tecnologica.
La decisione di programmare e di attuare il progetto “Torino-Lione” non vincola l’Italia ma dipende dalla sua capacità di finanziamento pubblico nonché dalla fattibilità socioeconomica del progetto, questo in sintesi il contenuto dell’Art. 17 del Regolamento CEF.
La Commissaria europea ai Trasporti Violeta Bulc lo sa bene, tanto che al termine di un breve incontro del 3 aprile scorso con alcune madamin businesswomen che sostengono il progetto Torino-Lione, ha cinguettato che “Le iniziative dei cittadini aiutano sempre a mantenere le questioni dei trasporti sull’agenda politica”, con una inevitabile allusione alle cittadine e ai cittadini che sostengono la lotta No TAV da trent’anni.
Ricordiamo che Violeta Bulc ha dichiarato il 29 marzo scorso che “se il progetto non venisse attuato le risorse potrebbero andare perdute e reintegrate nel bilancio del CEF”, in applicazione nel principio use it or lose it.
L’uscita dell’Italia dal progetto è dunque un diritto stabilito dai Regolamenti europei e un dovere sulla base delle constatazioni tecnico-economiche.
Questo Rapporto Giuridico, redatto dal professor Sergio Foà, Ordinario di Diritto Amministrativo dell’Università di Torino, documenta come l’Italia possa abbandonare il progetto e descrive i possibili scenari in caso di mancato avvio dei lavori relativi alla fase definitiva del Progetto Torino-Lione, ossia lo scavo del tunnel di base di 57,5 km.
Sui rapporti tra Italia e Francia
Occorre subito sottolineare che Italia e Francia potrebbero dare il via alla realizzazione dei lavori definitivi (ossia lo scavo del tunnel di base) solo se esistesse la disponibilità finanziaria totale per realizzare l’intera opera. Questa è la prima condizione necessaria per l’avvio di ogni fase dei lavori fissata all’art. 16 dell’Accordo di Roma 30.1.2012
Sappiamo che questa condizione non è soddisfatta, quindi i lavori non possono iniziare.
Inoltre, l’Allegato n. 2 dell’Accordo di Roma del 2012 ha indicato ai decisori politici che gli Stati si impegnano a ridurre gli effetti a carico delle finanze pubbliche, in parole povere non si deve realizzare un investimento senza “ritorno” come sarà la Torino-Lione.
Ecco il secondo principio che impedisce l’avvio del progetto definitivo.
Mentre il costo certificato e validato è definito nel protocollo addizionale all’Accordo del 2012 il progetto è posto sotto il controllo paritetico dei due Stati: TELT può dunque agire solo in base ad un’istruzione paritetica dei due Governi, come indicato all’art. 3 dell’Accordo di Roma del 2012 che al momento non è all’orizzonte.
Questo è il terzo fattore che impedisce l’avviamento dei lavori definitivi.
Sui rapporti con l’Unione europea
Il GRANT AGREEMENT del 25 novembre 2015, ossia la risposta alla Domanda di finanziamento alla Commissione Europea del 24.2.2015 di Italia e Francia (il cui accesso è stato negato dalla CE ai Deputati europei e ai cittadini) ossia il contratto tra Italia, Francia e UE, e che riguarda solo opere da concludere entro il 2019 finanziate dalla Ue per un ammontare complessivo di € 813.781.900, prevede sanzioni amministrative solo in caso di grave inadempienza delle obbligazioni da parte dei beneficiari, che allo stato non esistono.
Le azioni in corso sono solo lavori geognostici, quelli definitivi contenuti nel Grant Agreement non potranno essere iniziati entro il 31 dicembre 2019 per il vincolo della messa a disposizione del progetto di tutti i fondi (ad oggi non disponibili) imposto dall’art. 18 dell’Accordo di Roma del 2012.
Ogni ritardo nel loro utilizzo non produrrà alcuna sanzione, ma solo la mancata erogazione dei fondi secondo il principio use it or lose it.
Sappiamo, ma dovrebbe saperlo soprattutto il Governo, che l’Unione Europea ha stabilito che sono gli Stati membri ad aver l’ultima parola su fare o fermare i progetti finanziabili in base a due criteri: la capacità di finanziamento pubblico e la fattibilità socio-economica.
Il Regolamento (UE) N. 1316_2013 CEF lascia infatti agli Stati membri la decisione di attuare i progetti secondo la “capacità di finanziamento pubblico” e la “fattibilità socio-economica” (art. 17 par. 3), così come prevista dall’art. 7, par. 2, lett. c) attraverso un’Analisi Costi Benefici per la sostenibilità socio-economica.
In conclusione, e alla luce di tali previsioni, gli Stati membri, che rimangono titolari del potere di decidere in ordine all’attuazione dei progetti secondo i criteri evidenziati, sono tenuti a dimostrare la capacità di finanziamento pubblico di ogni fase del progetto secondo l’Analisi Costi Benefici, se intendono proseguire nell’esecuzione del progetto.
Nel caso di conseguente revisione del progetto e dei suoi tempi di esecuzione
In questo caso non vi saranno penali, perché l’Unione europea non vincola gli Stati Membri nelle loro decisioni di programmazione. L’UE dovrebbe valutare la possibilità di modificare il Grant Agreement (tra gli Stati e INEA, per conto dell’UE) oppure, in difetto, potrà rimodulare il finanziamento o revocarlo nelle parti relative alle opere non eseguite.
Ci auguriamo che Italia e Francia abbiano fin qui sorvegliato con attenzione l’attività di TELT, perché ogni inadempimento di questa società rimane comunque imputabile agli Stati membri che l’hanno costituita nei confronti dell’UE, secondo i principi generali che la giurisprudenza europea afferma in materia di mancato utilizzo dei finanziamenti erogati.
Desideriamo inoltre rimarcare che, per quanto riguarda appalti di lavori affidati da TELT, la legge italiana prevede la rinuncia dell’aggiudicatario degli appalti a qualunque pretesa, anche futura, connessa all’eventuale mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi (Art. 2, co. 232 lett. c) legge n. 191 del 2009 (Finanziaria 2010) richiamata dal CIPE, con sua Delibera n. 67/2017. L’applicabilità della predetta normativa italiana ai rapporti contrattuali nascenti da procedure di gara regolate dalla legge francese discende dall’art. 3 della Legge di Ratifica 5 gennaio 2017, n. 1.
Conclusione
In conclusione, l’Italia dovrebbe giustificare politicamente e giuridicamente la necessità di rivedere gli impegni assunti in sede di Accordo con la Francia in ragione di due elementi:
- 1. l’iniqua ripartizione dei costi, perché non basata sui km di proprietà del tunnel (Italia 12,5 km, Francia 45 km) ex art. 11 dell’Accordo del 2012 (Cfr. Torino-Lione: Ma quanto ci costi?
- infatti, l’impegno dell’Italia di finanziare il 57,9% dei lavori del tunnel di base (ex art. 18 dell’Accordo del 2012) è una iniqua contropartita finanziaria all’impegno, che la Francia ha già rinviato, di costruire a sue spese senza alcun finanziamento Ue una nuova linea ferroviaria di accesso al tunnel tra Lyon e Saint-Jean-de-Maurienne dotata di 33 km di tunnel a doppia canna, conformemente all’art. 4 del trattato dell’Accordo di Parigi 27 settembre 2011 senza questa contropartita della Francia, l’Italia non avrebbe avuto alcun interesse a sottoscrivere alcun impegno, dato che insistono sul suo territorio solo 12,5 chilometri sul totale di 57,5 chilometri del tunnel di base,
- è legittimo che l’Italia rifiuti di finanziare la costruzione del tunnel di base di 57,5 km più della Francia senza alcuna contropartita dato che le è richiesta una partecipazione finanziaria superiore a quella della Francia come contropartita.
2. – la previsione italiana di lotti costruttivi non funzionali, parte dei quali non dispone ancora di copertura finanziaria (come risulta dalla stessa Delibera CIPE n. 67/2017, cit.).