La morte di Rémi Fraisse segna una svolta nel movimento ecologista ma sottolinea soprattutto l’abisso sempre più enorme tra una democrazia di facciata e la democrazia reale.
Anahita GRISONI Sociologa, urbanista
La morte violenta del botanico Rémi Fraisse, nel corso della manifestazione contro la costruzione della diga di Sivens, segna una svolta nel movimento ecologista. Quest’ultimo sembra allontanarsi ogni giorno di più dalle istituzioni della politica ecologica, dall’EELV (Europe Ecologie Les Verts – Partito dei Verdi) al progetto ministeriale di una transizione energetica di facciata. L’ecologismo contemporaneo se la prende direttamente con i progetti di uno Stato che, destra e sinistra liberale non distinguibili, non riconosce alla famosa “società civile” neppure il diritto di manifestare la propria opinione riguardo ai progetti di pianificazione del territorio. Opponendosi ai movimenti violenti e non violenti, condannando, spesso in modo arbitrario, i “disobbedienti”, moltiplicando le dichiarazioni muscolari ed inefficaci, il Governo tenta di spostare l’attenzione del pubblico sulle divisioni sociali.
In questo caso però non si tratta di questo, quanto è in ballo è l’abisso sempre più enorme tra una democrazia di facciata e la democrazia reale, che gli oppositori alle GP2I (Grandi Opere Inutili ed Imposte) sembrano invocare a gran voce. La legge del 13 luglio 1983, relativa alla democratizzazione delle inchieste pubbliche ed alla protezione dell’ambiente, conferisce allo Stato solo l’obbligo di dare un’informazione pubblica riguardo ai progetti di pianificazione del territorio di grande portata ed all’inchiesta un valore consultivo; in questa direzione si sono susseguite altre misure giuridiche più recenti, tra le quali la legge SRU (Solidarietà e Rinnovamento Urbano) del 13 dicembre 2000, che tra l’altro mira a rafforzare le misure di “democrazia partecipativa”, o la riforma Grenelle II (12 luglio 2012), relativa a “l’impegno nazionale per l’ambiente”.
Sembra però che un numero sempre crescente di persone non si riconosca in queste definizioni della democrazia o della partecipazione. Al di là della rete di movimenti contro il GP2I, le recenti mobilitazioni (movimento del 15 maggio spagnolo, parco Gezi ad Istanbul, Occupy Wall Street) mostrano che in Francia ed altrove le modalità di partecipazione messe a disposizione della popolazione sono nel migliore dei casi obsolete, nel peggiore una farsa. Solo una riforma radicale del diritto all’impegno partecipato permetterà di parlare realmente di democrazia.