El despilfarro del AVE
Il costo supera i 40.000 milioni e rappresenta solo l’1% del traffico passeggeri.
http://politica.elpais.com/politica/2013/01/08/actualidad/1357672895_538712.html
L’investimento in linee di alta velocità ha comportato una ingente movimentazione di risorse pubbliche. Se contiamo le linee già terminate e quelle in costruzione, il costo totale supera i 40.000 milioni di euro, ai quali dobbiamo aggiungere le spese di manutenzione annuale, che superano i 400 milioni di euro. Sono cifre da capogiro, soprattutto tenendo in considerazione che l’AVE rappresenta appena l’1% del traffico passeggeri in Spagna.
Non è difficile trovare altri modi per utilizzare il denaro pubblico per opere di maggiore utilità sociale, inclusi anche i treni. Le linee extraurbane spostano 450 milioni di passeggeri l’anno, mentre le linee dell’AVE convogliano un traffico di 25 milioni.
Nella migliore delle ipotesi, l’AVE può consolidare processi economici già esistenti, difficilmente però creerà dinamiche economiche nuove. Più che creare traffico aggiunto (che è la cosa che genera realmente un impatto economico sul territorio), l’AVE trasferisce il traffico da altre modalità di trasporto, specialmente dal treno tradizionale. Sotto questo aspetto l’AVE contribuisce alla concentrazione delle attività economiche nelle grandi città, dal momento che è un fattore che dà impulso alle crescenti disparità regionali che si osservano nel nostro Paese. Inoltre, un costo elevato associata ad una domanda bassa conduce inevitabilmente a prezzi elevati, per cui tendono a ricavare maggiore vantaggio da questa infrastruttura persone che hanno maggiori livelli di reddito.
All’opposto, le linee extraurbane e le regionali sono solitamente utilizzate maggiormente da persone che dispongono di minori risorse e queste linee tendono a peggiorare il loro servizio una volta che comincia ad entrare in funzione l’AVE.
A difesa dell’AVE si potrebbe argomentare che permetterebbe di correggere un grande deficit storico nelle infrastrutture: lo scartamento diverso in Spagna rispetto al resto dell’Europa. Senza dubbio questo fatto è particolarmente rilevante nel caso di traffico merci, mentre il progetto della rete ad alta velocità ha dato la priorità al traffico passeggeri. Un aspetto chiave per uscire dalla tremenda crisi economica che mette in ginocchio il Paese è appoggiare le esportazioni industriali, in questo caso il contributo dell’AVE sarebbe molto modesto o addirittura negativo in quanto il declassamento del treno tradizionale può aumentare i costi del settore manifatturiero.
Senza dubbio l’AVE inquina meno dell’auto o dell’aereo, però può arrivare ad inquinare più del treno tradizionale sulle corte distanze (e questo senza considerare il grande inquinamento generato in fase di costruzione). D’altra parte, è anche certo che alcune imprese spagnole ne trarranno il beneficio da succulenti contratti di costruzione di nuove linee di AVE in altri Paesi, ma questo, se mai, porterà benefici a pochi e non alla società tutta.
In conclusione, l’investimento in AVE esige un impressionante utilizzo delle risorse pubbliche, ha un impatto economico limitato e con effetti per lo più regressivi. Pertanto sorprende che si continuino a destinare circa i due terzi delle risorse totali disponibili per nuove opere a linee di alta velocità, tendendo inoltre in conto che solo la Spagna spinge decisamente verso questi investimenti. Come riportato nel libro di Albalate & Bel The Economics and Politics of High Speed Rail: Lessons from Experiences Abroad, la rete spagnola è quasi il doppio di quella francese e il triplo di quella tedesca, solo la Cina ha più km di AVE.
Per spiegare gli investimenti in AVE si deve entrare nel campo della speculazione. Può darsi che sia politicamente difficile negare a quei territori che ancora non possiedono linee di alta velocità un investimento che apparentemente presuppone una modernizzazione di alto profilo.
Può anche darsi che la pressione esercitata da un settore delle costruzioni in difficoltà giochi un suo ruolo.
Quello che però è sicuro è che gli investimenti nell’AVE nuocciono alle nostre possibilità di affrontare con successo le grandi sfide economiche ancora insolute: la disoccupazione e il deficit pubblico.
Xavier Fageda Professore di Economia Politica all’Università di Barcellona
El despilfarro del AVE
El coste supera los 40.000 millones y apenas representa el 1% de la movilidad de pasajeros
http://politica.elpais.com/politica/2013/01/08/actualidad/1357672895_538712.html
La inversión en líneas de alta velocidad ha supuesto una ingente movilización de recursos públicos. Si contamos las líneas ya ejecutadas o en construcción, el coste total supera los 40.000 millones de euros. A eso debemos añadirle que los gastos de mantenimiento anual estarán por encima de los 400 millones de euros. Son cifras mareantes, y más teniendo en cuenta que el AVE apenas representa el 1% de la movilidad de pasajeros en España. No es difícil encontrar otros usos del dinero público con mayor utilidad social, incluso en el propio modo ferroviario. Las líneas de cercanías mueven 450 millones de pasajeros al año, mientras que las líneas de AVE apenas canalizan un tráfico de 25 millones.
En el mejor de los casos, el AVE puede consolidar procesos económicos ya existentes pero difícilmente creará dinámicas económicas nuevas. Más que crear tráfico adicional (que es lo que realmente genera impacto económico sobre el territorio), el AVE desplaza tráfico de otros modos, especialmente del tren convencional. En este sentido, el AVE contribuye a la concentración de la actividad económica en las grandes ciudades por lo que es un factor impulsor de las crecientes disparidades regionales que se observan en nuestro país. Además, un coste elevado asociado a una baja demanda lleva inevitablemente a unos precios elevados por lo que tienden a sacar más provecho de esta infraestructura personas de mayor nivel de renta. En contraste, las líneas de cercanías y regionales suelen ser más utilizadas por personas que cuentan con menos recursos y tales líneas tienden a tener peor servicio una vez el AVE entra en funcionamiento.
Se podría aducir en defensa del AVE que permitirá corregir uno de los grandes déficits históricos en infraestructuras; el diferente ancho de vía en España en relación al resto de Europa. Sin embargo, esto es particularmente relevante para el tráfico de mercancías, mientras que el diseño de la red ha priorizado el de pasajeros. Un aspecto clave para salir de la tremenda crisis económica que azota al país es apoyar a la industria exportadora, y aquí la contribución del AVE va a ser más bien modesta o incluso negativa en la medida que la degradación del tren convencional puede aumentar los costes de transporte del sector manufacturero.
Es cierto que el AVE contamina menos que el coche o el avión, pero puede llegar a contaminar más que el tren convencional en distancias cortas (y eso sin contar la gran contaminación generada durante la construcción). Por otro lado, también es cierto que algunas empresas españolas van a beneficiarse de suculentos contratos de construcción de nuevas líneas de AVE en otros países pero esto, si acaso, va a reportar beneficios a unos pocos y no al conjunto de la sociedad.
En suma, la inversión en AVE exige un impresionante uso de recursos públicos, tiene un impacto económico limitado y con efectos más bien regresivos. Por tanto, sorprende que sigan destinándose en torno a dos tercios del total de recursos disponibles para obra nueva en líneas de AVE. Y más teniendo en cuenta que solo España apuesta de forma decidida por esta inversión. Tal y como se muestra en el libro de Albalate & Bel The Economics and Politics of High Speed Rail: Lessons from Experiences Abroad, la red española casi duplica la de Francia y triplica la de Alemania, y solo China cuenta con más kilómetros de AVE.
Explicar la obstinación en mantener la inversión en AVE entra ya en el terreno de lo especulativo. Puede que políticamente sea difícil negarle a aquellos territorios que aún no cuentan con líneas de AVE una inversión que en apariencia supone una modernización de calado. Puede ser también que la presión ejercida por un sector constructor en dificultades tenga su papel. Pero lo que es seguro es que la inversión en AVE daña nuestras posibilidades de afrontar con éxito los dos grandes retos económicos que tenemos pendientes; el desempleo y el déficit público.
Xavier Fageda es profesor de política económica en la Universidad de Barcelona