Dieci anni dopo la Dichiarazione di Utilità Pubblica (DUP) del tunnel franco-italiano, e mentre il progetto è ancora al punto morto, il governo ha appena firmato un decreto di proroga della DUP. Il ricorso presentato il 7 febbraio 2018 dagli Amici della Terra denuncia tuttavia gravi carenze rendendo precarie le giustificazioni di questo progetto.
Da un lato, il costo di questo progetto è in costante aumento: per la sola fase di studio e geognosi, è passato da € 371 milioni a € 1,5 miliardi, per un costo totale annunciato di 26 miliardi di euro. euro. D’altra parte, le previsioni di traffico che giustificano il progetto sono errate: non solo le infrastrutture esistenti non sono saturate, ma in aggiunta le ferrovie esistenti permetteranno di soddisfare le esigenze di trasferimento modale della strada alla ferrovia.
Questa decisione rivela le contraddizioni del governo. Così, per più di vent’anni, il progetto è stato oggetto di schiaccianti rapporti da parte delle Alte Amministrazioni dello Stato: il Consiglio generale dei Ponti e delle Strade, l’Ispettorato generale delle finanze o la Corte dei conti.
Tra Francia e Italia, un tunnel di aberrazioni economiche
7 febbraio 2018 di Jade Lindgaard
www.Mediapart.fr
Tre ricorsi sono stati depositati dalle Associazioni “Les Amis de la Terre”, “Vivre et Agir en Maurienne” e da privati cittadini contro il progetto di Tunnel ferroviario Lione-Torino nei quali sono dimostrati gli elementi devastanti di questo cantiere da 26 miliardi di euro.
Il silenzio del Primo Ministro a volte parla più di un lungo discorso. Durante la sua visita in Savoia, a gennaio 2018, Édouard Philippe non ha detto una parola in pubblico sul progetto della galleria ferroviaria Lione-Torino.
L’ingombrante dossier da € 26 miliardi relativo alla costruzione di un tunnel ferroviario per il trasporto di merci e persone sotto le Alpi tra la Francia e l’Italia, è stato tenuto sotto traccia da Matignon. Lo ha confermato Emmanuel Macron durante il summit franco-italiano di Lione a settembre 2017, senza che nuove gare d’appalto siano state lanciate.
L’utilità pubblica di questo progetto faraonico, basato su un trattato internazionale firmato nel 2001 da Parigi e Roma, non è mai stata messa in discussione. In un recente rapporto, la Commissione per l’Orientamento delle Infrastrutture ha proposto di rinviare la realizzazione delle linee francesi di accesso al tunnel: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi lavori le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono in questa fase chiaramente sfavorevoli”. Nel luglio2017, la ministra dei trasporti Élisabeth Borne aveva annunciato la pausa della Lyon-Turin.
Mercoledì 7 febbraio, tre ricorsi sono stati presentati contro la proroga della dichiarazione di pubblica utilità risalente al 2007 e prorogata di cinque anni nel dicembre 2017. Dei residenti e varie associazioni si sono rivolte al Consiglio di Stato e al Governo: “Vivere e agire in Maurienne”, gli “Amici della Terra” e semplici cittadini oppositori della Lione-Torino. Questa non è la prima volta che il progetto franco-italiano è sotto attacco. Ma queste nuove procedure rivelano elementi devastanti per la cronaca: inesplicabili stime dei costi, errori abissali sui dati di traffico, provata mancanza dei finanziamenti.
Dove sono i finanziamenti Lione-Torino?
Il finanziamento per la Lione-Torino è diviso tra Francia (25%), Italia (35%) e Unione europea (40%). Per la Francia, la somma ammonterebbe a circa € 2,2 miliardi di euro per l’unica galleria franco-italiana, alla quale andrebbero aggiunti € 2,57 miliardi per tenere conto dei lavori supplementari decisi nel 2012.
A luglio 2016, inaugurando il cantiere in Francia, Manuel Valls ha annunciato che la Francia pagherà € 2,2 miliardi in dieci anni. Ma questo denaro non è stato ancora messo a disposizione dallo Stato. Il Ministero dei Trasporti lo riconosce in una risposta alla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi (CADA), della quale è entrato in possesso a settembre 2017 Daniel Ibanez, oppositore della Lione-Torino, e da Raymond Avrillier, ex eletto ecologista del Comune di Grenoble.
Elisabeth Borne ha informato la commissione che “fino ad oggi non sono stati avviati i lavori definitivi della sezione transfrontaliera” e che “lo Stato non aveva ancora impegnato le somme corrispondenti per questo lavoro “. Interrogato a dicembre da Mediapart, il ministero non ha risposto alle nostre domande. Eppure dei lavori sono davvero iniziati (leggi il nostro articolo). Lavori di scavo sono in corso per la galleria di riconoscimento di Saint-Martin-la-Porte, “nell’asse e nel diametro del tunnel di base”, afferma Telt (Euralpin Tunnel Lyon-Turin), il promotore, una società pubblica franco-italiana. Tre discenderie – tunnel che danno accesso al tunnel principale – sono già stati completati.
Su quali fondi sono stati finanziati? Un indizio appare nel diritto di risposta di un eletto locale, Michel Bouvard, ex senatore e vicepresidente del Consiglio dipartimentale di Savoia. Al quotidiano La Maurienne, egli spiega che gli attuali scavi sono “lavori definitivi”, “trasformati” in opere di riconoscimento “per consentirne l’esecuzione più rapida possibile così da beneficiare del finanziamento al 50% da parte dell’Unione Europea”. Definitivi o provvisori? La lite sullo status del lavoro non è altro che una traduzione di acrobazie di bilancio. Da parte sua, l’Unione europea ha erogato € 813 milioni in sovvenzioni per la Lione-Torino per l’esercizio finanziario 2016-2019. Ma questo denaro può essere devoluto solo in aggiunta ai fondi pubblici nazionali. L’Europa ha accettato di pagare solo il 40% dei lavori. Sembra che oggi questa sia l’unica fonte finanziaria. E in più, se l’intera somma stanziata non è stata spesa in tempo, il contributo non viene prorogato secondo il principio “usalo o perdilo”. Tanto che la Francia ha chiesto un’estensione del sussidio fino al 2023.
Questo maneggio dei bilanci nasconde una situazione finanziaria e giuridica pericolosa per il progetto del tunnel. Perché il Trattato franco-italiano del 2012 – articolo 16 – richiede la disponibilità di fondi prima dell’inizio dei lavori definitivi. Il Consiglio di Stato prende molto sul serio questo problema. Nel 2016, ha annullato la Dichiarazione di Utilità Pubblica (DUP) della Linea ad Alta velocità Limoges-Poitiers perché non conteneva “alcuna informazione precisa” sul metodo di finanziamento, compromettendo in questo modo la valutazione economica del progetto e, in fine, dannosa alle informazioni della popolazione.
Interrogato da Mediapart circa l’origine del suo finanziamento, Telt ci ha spiegato che le gare d’appalto sono in corso per la prima opera definitiva (trincea coperta di Saint-Julien-Mont Denis e pozzo di Avrieux). I contratti per gli appalti principali sono stati assegnati a 13 società di consulenza, per un valore stimato di 90 milioni di euro, come ha spiegato da Le Moniteur.
Per Gwénola Brand, avvocata di uno o degli oppositori alla proroga della DUP: “Esiste il diritto di estendere una DUP se le condizioni non sono state modificate, come è avvenuto. Il progetto non è più lo stesso: il tunnel è diverso, i costi sono più alti. La Corte dei conti ha messo in guardia nel 2012 e nel 2016 sulla catastrofica e preoccupante esplosione dei costi di questo progetto.”
Costi impossibili da determinare
La indeterminatezza della fonte di finanziamento è tanto più incomprensibile dal momento che le somme in questione sono colossali. I debiti minacciano l’equilibrio della Agenzia Francese del Finanziamento delle Infrastrutture (AFITF), ha dichiarato la Corte dei conti in una relazione dell’agosto 2016.
Estratto della relazione del Consiglio Generlae dei Ponti e delle Strade del 2003 sulle infrastrutture di trasporto e sulla Lione-Torino
In questo grafico, risalente ad un rapporto del 2003 del Consiglio Generale dei Ponti e delle Strade del 2003, ripreso in esame nel 2009 dalla Corte dei conti, si nota chiaramente la “gobba” delle spese della Lione-Torino. In palese contraddizione con il discorso dell’esecutivo sulla priorità agli investimenti per il trasporto dei pendolari.
Ma da un documento all’altro, i costi della Lione-Torino variano. Nel 2006, l’inchiesta pubblica stimava che il progetto sarebbe costato €16,9 miliardi. Ma la tavola degli investimenti presentata nel sondaggio pubblico sulle linee di accesso francese al tunnel nel 2012, mostra un totale di € 24 miliardi (a valori 2009). Nel 2002, Telt stimò il costo del progetto in € 12 miliardi. Ma nel 2012 il Dipartimento del Tesoro lo ha rivalutato a € 26,1 miliardi. Per Daniel Ibanez, uno dei presentatori del ricorso contro la proroga della DUP, questo costo aggiuntivo “deve essere considerato come un cambiamento sostanziale nella redditività interna che vieta qualsiasi estensione dell’utilità pubblica”. E cita l’esempio dei lavori di studio e geognostici, previsti in € 371 milioni nel 2002, ma contabilizzati in 986 milioni di euro nel bilancio della società nel 2016. Tre volte di più.
D’altra parte, Telt nega il minimo cambiamento: “I fatti sono i seguenti: in euro costanti, la stima dei costi della sezione sotto la gestione del progetto Telt (tunnel di base e connessione alle linee storiche) non è più cambiata da più di 10 anni”.
Un’altra aberrazione: il progetto cambia forma con gli anni e i documenti. Nel 2006, l’inchiesta pubblica si è concentrata sulla costruzione di un tunnel mentre, nel 2012, la Francia si è impegnata per 33 km di tunnel a doppio tubo, denominati Belledonne e Glandon. Nel 2006, l’inchiesta pubblica presenta un tunnel di 53,1 km mentre nel 2012 Telt annuncia 57,5 km. Inizialmente, la sezione comune inizia dalla città di Saint-Jean-de-Maurienne, in seguito inizia nel solco alpino. Non solo il progetto è incomprensibile, ma i cambiamenti permanenti minano l’analisi della redditività socio-economica del progetto, che non è più calcolato sul corretto ambito di investimento, analizza Daniel Ibanez.
Gwénola Marca ritiene che “abbiamo trovato in questo dossier elementi piuttosto insoliti. A partire dalla natura estremamente vaga dei costi del progetto, che variano nel tempo. Se consultate oggi l’inchiesta pubblica, non sarete in grado di dire quanto costerà la Lione-Torino. Inoltre, non potrete sapere quanto tempo farà risparmiare il tunnel nel trasporto di persone e merci. Ci sono anche elementi molto sorprendenti. Ad esempio, il tempo di viaggio della linea prevista viene indicato senza tenere conto dei tempi delle fermate nelle stazioni ed è confrontato con il tempo di viaggio corrente che tiene conto delle fermate nelle stazioni. Raramente ho visto un caso così importante di dossier orientato nell’interesse del progetto. È paradossale date le dimensioni di questo progetto e il suo costo. Siamo di fronte a una decisione politica.”
Numeri di frequentazione gravemente errati
Un’altra faglia del dossier: le previsioni errate del traffico merci stradale e ferroviario. Nel 2006 l’indagine pubblica ha previsto 2,8 milioni di camion nel 2017 nel traffico delle gallerie del Fréjus e del Monte Bianco. Ma nel 2017, sono passati solo 1,4 milioni di camion, un po’ meno della metà. Per il trasporto ferroviario, nel 2006, il committente ha previsto 16 milioni di tonnellate di merci nel 2017 sull’attuale linea di Modane. Ma il massimo registrato è stato di 3,5 milioni, constata Daniel Ibanez. In totale, il tonnellaggio delle merci che circolavano su strada e ferrovia era di circa 25 milioni di tonnellate nel 2017, contro il 61,1 annunciato dal committente.
Differenze molto significative tra le stime prospettiche e la realtà osservata che distorcono valutazione socio-economica del progetto, dichiarato di pubblica utilità. Daniel Ibanez: “C’è un arbitrato da fare tra la situazione reale e le previsioni dell’uso ferroviario e stradale del committente. Si sono sostanzialmente sbagliati, sono iper esagerati. Risultato: tenendo conto delle cifre effettive di frequentazione, il progetto non soddisfa più i criteri di utilità socio-economica.”
Gli effetti di questo tipo di errore sono molto concreti. Nel 2015, la Linea ad Alta Velocità Perpignan-Figueras è stata posta in liquidazione a causa delle perdite finanziarie. Il trasporto merci ha raggiunto solo l’8% delle previsioni e quello delle persone il 15%, secondo il rapporto finanziario di SNCF Rete di giugno 2016. L’esempio colpisce ancor più dato che questa sezione si trova sullo stesso corridoio europeo della Lione-Torino, mentre il bacino della popolazione è due volte più piccolo. Il costo per chilometro della linea era di € 24,8 milioni. Sulla base di un costo prevedibile di € 10,4 miliardi di euro per la galleria di base Lione-Torino (57 km), il costo per chilometro raggiungerebbe € 174 milioni
Alternative che non vengono prese sul serio dai decisori
Mentre le valutazioni dell’alta amministrazione hanno insistito fin dall’inizio, nel 1998, sulla mancanza di saturazione della linea e sulla possibilità di rafforzare i flussi sulle linee esistenti, i governi l’hanno sempre ignorata. Nel 2003, il Consiglio generale dei Ponti e delle Strade e l’Ispettorato generale delle finanze stimano che “è improbabile che l’infrastruttura esistente sia saturata nel 2015″. Allo stesso tempo Rete ferroviaria Francese (RFF) difende la modernizzazione delle linee esistenti al fine di migliorare la capacità di transito.
“Contrariamente a quanto accaduto per Notre-Dame-des-Landes, dove fino a alla fine il DGAC ha rifiutato di accettare lo sviluppo dell’attuale aeroporto, per la Lione-Torino, e dal primo giorno, l’alta amministrazione ha affermato che le linee attuali non erano saturate e soddisfacevano i bisogni “, riassume Daniel Ibanez.
Diciassette anni dopo la firma a Torino del suo trattato fondatore, questo dossier di pianificazione è diventato mostruoso per dimensioni e tecnicità. Ma le domande che pone sono molto semplici: Chi definisce l’interesse generale e secondo quali criteri? Perché un progetto può essere modificato dopo essere stato dichiarato di pubblica utilità? Perché le allerte dell’alta amministrazione non sono state ascoltate? Come possiamo spiegare che i governi che si sono succeduti hanno in programma di spendere così tanto denaro pubblico in un tunnel, mentre le vie di trasporto circostanti non sono saturate? Tutte le carenze di democrazia evidenziate dai mediatori per l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes (scarsa informazione pubblica, mancanza di studi seri sulle alternative, visione parziale dell’interesse generale) si ritrovano nel dossier della Lyon-Torino.
Les Amis de la Terre déposent un recours contre le projet de tunnel Lyon-Turin
D’une part, le coût de ce projet est en constante augmentation : pour la seule phase d’étude et de reconnaissance, il est passé de 371 millions à 1,5 milliard d’euros, pour un coût global annoncé de 26 milliards d’euros. D’autre part, les prévisions de trafic justifiant le projet sont erronées : non seulement les infrastructures existantes ne sont pas saturées, mais de plus les voies ferrées existantes permettront de répondre aux besoins de report de la route vers le rail.
Cette décision révèle les contradictions du gouvernement. Ainsi, depuis plus de vingt ans, le projet a fait l’objet de rapports accablants de la part des hautes administrations de l’Etat : le Conseil Général des Ponts et Chaussées, l’Inspection Générale des Finances ou encore la Cour des Comptes.
Le 1er février, le Conseil d’Orientation des Infrastructures a quant à lui déclaré que le projet Lyon-Turin dans ses accès français présente des “caractéristiques socio-économiques [qui] apparaissent à ce stade clairement défavorables”.
Pour Louis Cofflard, des Amis de la Terre : “ En prenant la décision de prolonger la Déclaration d’utilité publique du tunnel Lyon-Turin, le gouvernement ne fait que maintenir sous perfusion un projet contesté depuis près de 30 ans pour son inutilité et ses conséquences environnementales et sociales. Cette décision est incohérente avec les déclarations de la Ministre des Transports Elisabeth Borne qui, lors des Assises de la mobilité, prétendait donner la priorité aux transports du quotidien, à la sécurisation, la maintenance et l’amélioration des réseaux existants.”
La prolongation de la DUP fait l’objet de plusieurs contestations simultanées, dont un autre recours gracieux déposé par huit organisations locales, parmi lesquelles les Amis de la Terre Savoie, Haute-Savoie et Isère.
Alors que le secteur du transport est le premier contributeur d’émissions de gaz à effet de serre en France, les Amis de la Terre rappellent la nécessité de repenser les formes de mobilité et appellent à l’abandon du projet Lyon-Turin.
Entre la France et l’Italie, un tunnel d’aberrations économiques
7 févr. 2018 Par Jade Lindgaard - www.Mediapart.fr
Sur le chantier du Lyon-Turin en 2014 (DR)
Trois recours déposés mercredi 7 février contre le projet de tunnel ferroviaire Lyon-Turin font apparaître des éléments dévastateurs pour ce chantier à 26 milliards d’euros.
Un silence de premier ministre en dit parfois plus qu’un long discours. Lors de sa visite en Savoie en janvier, Édouard Philippe n’a pas prononcé un mot en public sur le projet de tunnel ferroviaire Lyon-Turin. L’encombrant dossier à 26 milliards d’euros, concernant la construction d’un tunnel ferroviaire pour transporter du fret et des personnes sous les Alpes entre la France et l’Italie, a été tenu à distance par Matignon. Il avait pourtant été confirmé par Emmanuel Macron lors d’un sommet franco-italien à Lyon en septembre, sans que de nouveaux appels d’offres ne soient lancés.
L’utilité publique de ce projet pharaonique, fondé par un traité international signé en 2001 par Paris et Rome, n’a jamais autant été remise en cause. Dans un récent rapport, la Commission d’orientation des infrastructures suggère de reporter la réalisation des accès français au tunnel : « La démonstration n’a pas été faite de l’urgence d’engager ces aménagements, dont les caractéristiques socio-économiques apparaissent à ce stade clairement défavorables. » En juillet, la ministre des transports Élisabeth Borne avait annoncé mettre le Lyon-Turin en pause.
Mercredi 7 février, trois recours doivent être déposés contre la prorogation de la déclaration d’utilité publique, datant de 2007 et rallongée de cinq ans en décembre 2017. Des riverains et plusieurs associations saisissent le Conseil d’État et le gouvernement : Vivre et agir en Maurienne, les Amis de la Terre et des particuliers opposants au Lyon-Turin. Ce n’est pas la première fois que le projet franco-italien est attaqué. Mais ces nouvelles procédures font apparaître des éléments dévastateurs pour le dossier : insondable flou des estimations de coût, erreurs abyssales sur les chiffres de fréquentation, absence de financement avéré.
- Où sont les financements du Lyon-Turin ?
Les financements du Lyon-Turin se répartissent entre la France (25 %), l’Italie (35 %) et l’Union européenne (40 %). Pour la France, la somme s’élèverait à environ 2,2 milliards d’euros pour le seul tunnel franco-italien, auxquels il faudrait ajouter 2,57 milliards pour tenir compte de travaux supplémentaires décidés en 2012.
En juillet 2016, inaugurant le chantier, Manuel Valls a annoncé que la France paierait 2,2 milliards d’euros sur dix ans. Mais cet argent n’a pour l’instant pas été engagé par l’État. C’est le ministère des transports qui le reconnaît dans une réponse à la Commission d’accès aux documents administratifs (CADA), saisie en septembre par Daniel Ibanez, opposant au Lyon-Turin, et Raymond Avrillier, ancien élu écologiste de la mairie de Grenoble.
Élisabeth Borne a informé la commission « qu’à ce jour les travaux définitifs de la section transfrontalière n’avaient pas été lancés » et que « les engagements financiers de l’État correspondant à ces travaux n’avaient donc pas encore été engagés ». Sollicité à ce sujet en décembre par Mediapart, le ministère n’avait pas répondu à nos questions. Pourtant, des travaux ont bel et bien commencé (lire notre article). La galerie de reconnaissance de Saint-Martin-la-Porte est en cours de creusement, « dans l’axe et au diamètre du tunnel de base » précise Telt (Tunnel euralpin Lyon-Turin), le maître d’ouvrage, une société publique franco-italienne. Trois descenderies – puits donnant accès au tunnel – ont déjà été réalisées.
Sur quels fonds sont-ils financés ? Un indice apparaît dans le droit de réponse d’un élu local, Michel Bouvard, ancien sénateur et vice-président du conseil départemental de Savoie. Dans le journal La Maurienne, il explique que les travaux actuels sont définitifs et qu’ils ont été « basculés » en travaux de reconnaissance « pour en permettre l’exécution dans les meilleurs délais et bénéficier du financement de 50 % de ces travaux par l’Union européenne ». Définitifs ou provisoires ? La querelle du statut des travaux n’est que la traduction d’une acrobatie budgétaire. Car de son côté, l’Union européenne a accordé 813 millions d’euros de subvention au Lyon-Turin sur l’exercice 2016-2019. Mais cet argent ne peut venir qu’en complément des fonds publics nationaux. L’Europe n’a accepté de payer que 40 % des travaux. Il semble qu’aujourd’hui, elle en soit la seule source financière. Surtout, si toute la somme allouée n’a pas été dépensée à temps, elle n’est pas reportée. C’est le principe « Use it or lose it ». Si bien que la France a déposé une demande de prorogation de la subvention jusqu’en 2023.
Ce bricolage budgétaire cache mal une situation financière et juridique périlleuse pour le projet de tunnel. Car le traité franco-italien de 2012 – article 16 – exige la disponibilité des fonds en préalable au lancement des travaux définitifs. Le Conseil d’État prend très au sérieux cette question. En 2016, il a annulé la déclaration d’utilité publique (DUP) de la LGV Limoges-Poitiers car elle ne contenait « aucune information précise » sur son mode de financement, entachant ainsi l’évaluation économique du projet et, in fine, nuisant à l’information de la population.
Interrogée par Mediapart sur l’origine de son financement, Telt nous répond à côté, expliquant que des appels d’offres sont en cours pour les premiers travaux définitifs (tranchée couverte de Saint-Julien-Mont-Denis et puits d’Avrieux). Les contrats de maîtrise d’œuvre du tunnel de base viennent en effet d’être attribués à 13 bureaux d’études, pour une valeur prévisionnelle de 90 millions d’euros, comme l’a expliqué Le Moniteur.
Pour Gwénola Brand, avocate de l’un des recours formés par des opposants à la prorogation de la DUP : « Vous avez le droit de proroger une DUP si les conditions n’ont pas été modifiées. Or elles l’ont été. Le projet n’est plus le même : le tunnel est différent, les coûts sont plus élevés. La Cour des comptes alerte en 2012 et 2016 sur l’explosion catastrophique et inquiétante des coûts de ce projet. »
- Coûts impossibles à déterminer
Ce flou sur la source des financements est d’autant plus incompréhensible que les sommes en jeu sont colossales. Les sommes à payer menacent l’équilibre de l’Agence de financement des infrastructures de France (Afitf), a alerté la Cour des comptes dans un référé en août 2016.
Extrait du rapport des Ponts et chaussées de 2003 sur les infrastructures de transport et le Lyon-Turin
Sur ce graphique, datant d’un rapport de 2003 des Ponts et chaussées et repris en 2009 par la Cour des comptes, on voit nettement « la bosse » de dépenses du Lyon-Turin. En contradiction flagrante avec le discours de l’exécutif sur la priorité aux investissements pour les transports du quotidien.
Mais d’un document à l’autre, les coûts du Lyon-Turin varient. En 2006, l’enquête publique estime que le projet coûtera en tout 16,9 milliards d’euros. Mais le tableau d’investissement présenté dans l’enquête publique sur les accès français au tunnel, en 2012, chiffre le total à 24 milliards (en valeurs 2009). En 2002, Telt estimait le coût du projet à 12 milliards d’euros. Mais en 2012, la direction du Trésor l’a réévalué à 26,1 milliard d’euros. Pour Daniel Ibanez, un des requérants contre la prorogation de la DUP, ce surcoût « doit être regardé comme une modification substantielle de la rentabilité interne interdisant toute prorogation de l’utilité publique ». Il cite l’exemple des travaux d’études et de reconnaissances, chiffrés à 371 millions d’euros en 2002, mais comptabilisés à hauteur de 986 millions d’euros dans le bilan comptable de la société en 2016. Soit trois fois plus.
De son côté, Telt dément le moindre changement : « Les faits sont les suivants : en euros constants, l’estimation du coût de la section sous maîtrise d’ouvrage Telt (tunnel de base et raccordement aux lignes historiques) n’a pas évolué depuis plus de 10 ans. »
Autre aberration : le projet change de forme avec les années et les documents. En 2006, l’enquête publique porte sur la construction d’un tunnel alors qu’en 2012, la France s’engage pour 33 km de tunnels double tube en plus, appelés Belledonne et Glandon. En 2006, l’enquête publique présente un tunnel de 53,1 km alors qu’en 2012, Telt annonce 57,5 km. Au départ, la section commune part de la ville de Saint-Jean-de-Maurienne, pour ensuite démarrer dans le sillon alpin. Non seulement le projet est incompréhensible, mais ces modifications permanentes sapent l’analyse de la rentabilité socio-économique du projet, qui n’est plus calculée sur le bon périmètre d’investissement, analyse Daniel Ibanez.
Gwénola Brand estime que l’« on trouve dans ce dossier des éléments assez inhabituels. À commencer par le caractère extrêmement vague des coûts du projet, qui varient dans le temps. Si vous lisez aujourd’hui l’enquête publique, vous êtes dans l’incapacité de dire combien va coûter le Lyon-Turin. Vous ne pouvez pas non plus savoir combien de temps le tunnel fera gagner au transport de personnes et de marchandises. On y trouve aussi des éléments très surprenants. Par exemple, le temps de trajet de la ligne en prévision est indiqué sans prise en compte des temps d’arrêt en gare et est comparé avec le temps de trajet actuel avec la prise en compte des arrêts en gare. J’ai rarement vu un dossier aussi orienté dans la présentation de l’intérêt du projet. C’est paradoxal compte tenu de l’ampleur de ce projet et de son coût. On est face à une décision politique ».
- Chiffres de fréquentation gravement erronés
Autre faille béante du dossier : les prévisions erronées de circulations routières et ferroviaires de marchandises. En 2006, l’enquête publique s’attend à 2,8 millions de poids lourds en 2017 dans le trafic des tunnels de Fréjus et du Mont-Blanc. Mais en 2017, n’y passèrent qu’1,4 million de camions, un peu moins de la moitié. Pour le ferroviaire, en 2006, le maître d’ouvrage s’attend à 16 millions de tonnes de fret en 2017 sur l’actuelle ligne de Modane. Mais le maximum constaté a été de 3,5 millions, décrit Daniel Ibanez. Au total, le tonnage de marchandises ayant circulé aux passages routiers et ferroviaires a été d’environ 25 millions de tonnes en 2017, contre 61,1 annoncés par le maître d’ouvrage.
Ces écarts très significatifs entre estimations prospectives et réalité observée faussent le bilan socio-économique du projet, déclaré d’utilité publique. Daniel Ibanez : « Il y a un arbitrage à faire entre la situation réelle et les prévisions de fréquentation ferroviaire et routière du maître d’ouvrage. Elles se sont substantiellement trompées, elles sont hyper exagérées. Résultat : en tenant compte des chiffres réels de fréquentation, le projet ne répond plus aux critères d’utilité socio-économique. »
Les effets de ce type d’erreurs sont très concrets. En 2015, la LGV Perpignan-Figueras a été placée en liquidation judiciaire à cause de ses pertes financières. Le transport de fret n’a atteint que 8 % des prévisions et celui des personnes 15 %, selon le rapport financier SNCF Réseau de juin 2016. L’exemple frappe d’autant plus l’esprit que ce tronçon figure dans le même corridor européen que le Lyon-Turin, dont le bassin de population est deux fois moindre. Le prix du kilomètre de ligne était de 24,8 millions d’euros. Si l’on se fonde sur une somme de 10,4 milliards d’euros pour le tunnel de base du Lyon-Turin (57 km), le coût du kilomètre atteindrait 174 millions d’euros.
- Des alternatives qui ne sont pas prises au sérieux par les décideurs
Alors que l’expertise de la haute administration insiste depuis le départ, en 1998, sur l’absence de saturation et la possibilité de renforcer les flux sur les rails existants, les gouvernements l’ont toujours ignoré. En 2003, le Conseil général des ponts et chaussées et l’Inspection générale des finances estiment qu’« il est improbable que les infrastructures existantes soient saturées en 2015 ». Au même moment, Réseau ferré de France (RFF) défend la modernisation des lignes existantes, afin d’améliorer les capacités de transit.
« Contrairement à ce qu’il s’est passé pour Notre-Dame-des-Landes, où jusqu’au bout la DGAC a refusé d’accepter le développement de l’actuel aéroport, pour le Lyon-Turin, depuis le premier jour la haute administration a dit que les lignes actuelles n’étaient pas saturées et répondaient aux besoins », résume Daniel Ibanez.
Dix-sept ans après la signature de son traité fondateur, ce dossier d’aménagement est devenu monstrueux par sa taille et sa technicité. Mais les questions qu’il soulève sont très simples : Qui définit l’intérêt général en fonction de quels critères ? Pourquoi un projet peut-il être modifié après avoir été déclaré d’utilité publique ? Pourquoi les alertes de l’administration n’ont-elles pas été entendues ? Comment expliquer que les gouvernements successifs envisagent de dépenser autant d’argent public pour un tunnel, alors que les voies de transport environnantes ne sont pas saturées ? Toutes les failles démocratiques mises en exergue par les médiateurs au sujet de l’aéroport de Notre-Dame-des-landes (mauvaise information du public, absence d’étude sérieuse d’alternatives, vision biaisée de l’intérêt général) se retrouvent dans le dossier du Lyon-Turin.
En Maurienne, le village qui dit non
7 févr. 2018 Par Eliane Patriarca (Mediacites)
Privée de ses sources d’eau, menacée par des mètres cubes de remblais : en Maurienne, la commune de Villarodin-Bourget, 520 habitants, paie un lourd tribut à la construction de la ligne ferroviaire. L’opposition au Lyon-Turin s’y organise.
Villarodin-Bourget (Savoie), envoyée spéciale. - L’abandon du projet d’aéroport à Notre-Dame-des-Landes (NDDL) les fait rêver. À quelques kilomètres en amont de Modane, à l’entrée de la Haute-Maurienne, les habitants de Villarodin-Bourget combattent eux aussi un de ces grands projets qu’ils étiquettent « inutiles et imposés » : le Lyon-Turin ferroviaire. « NDDL, c’est un peu une jurisprudence. Peut-être va-t-on arrêter de décider à notre place et enfin s’interroger sur le bien-fondé d’un projet décidé en 1991 sur la base de prévisions de trafics surestimées ? », espère le maire adjoint Philippe Delhomme. Le parallèle avec l’aéroport avorté du Grand Ouest s’arrête toutefois là. Dans les montagnes savoyardes, nulle ZAD pour incarner l’opposition et attirer l’attention des autorités publiques et des médias. Nul signe extérieur d’insurrection. Juste une commune pacifiquement rebelle, la seule de la vallée de la Maurienne à oser s’opposer à ce projet d’une ligne à grande vitesse dont 80 % de l’activité serait consacrée au fret, et qui nécessite le percement d’un tunnel de 57 kilomètres sous les Alpes.
Et pourtant… Les autorités surveillent avec attention Villarodin-Bourget, actuellement recouverte par la neige, tombée en abondance depuis décembre. Fin janvier, Philippe Delhomme a reçu dans son chalet la visite surprise des gendarmes. « Ils avaient appris que j’avais lancé une invitation pour une conférence aux élus italiens NO TAV du val de Suse, raconte celui qui est aussi professeur d’histoire-géographie à Modane. Ils voulaient savoir ce qui se tramait. Ils redoutent qu’une ZAD s’installe ici. »
Le conflit de « la descenderie »
Car Villarodin-Bourget, qui compte 520 habitants (près de 6 000 l’hiver), présente les caractéristiques d’un foyer de contestation potentiel. « Commune support d’ouvrage » pour le chantier du Lyon-Turin ferroviaire, elle est celle qui a le plus souffert des travaux préparatoires, et qui sera, côté français, la plus affectée par le chantier. À l’été 2016, la caravane cycliste contre les « Grands Projets inutiles », partie du val de Suse, y avait d’ailleurs fait étape.
Étendue sur deux versants, la commune est située dans le parc national de la Vanoise. Côté ubac, le village de Villarodin et la station de ski de La Norma ; côté adret, Le Bourget. Et au milieu coule une rivière, l’Arc. Sous la neige, on aperçoit vaguement un terre-plein bétonné, en contrebas du Bourget. C’est l’entrée de la « descenderie », l’objet du premier conflit. Cette galerie, réalisée entre 2003 et 2007 par la société Tunnel euralpin Lyon-Turin (Telt), le promoteur chargé de la réalisation de la section transfrontalière, s’enfonce sous la montagne pour rejoindre le tracé du futur tunnel. En phase de construction, la descenderie sera utilisée pour excaver le tunnel de base et remonter les déblais. Une fois l’ouvrage en fonction, elle servira à la ventilation et à l’accès des équipes de maintenance et de secours.
Les quatre années de chantier de la descenderie restent un cauchemar pour les habitants : ballet incessant de camions, de jour comme de nuit, tirs de mines, flots de poussière lâchés par l’unité de concassage… « Ils [les promoteurs du Lyon-Turin] avaient dit que les déblais seraient évacués par bande transporteuse, rappelle le maire, Gilles Margueron, mais elle n’a fonctionné que trois mois, ils ont tout transporté en camions. » « Ils avaient promis de ne pas faire de tirs d’explosifs la nuit, mais on était sans arrêt réveillés », ajoute Philippe Delhomme.
Un beau matin, Villarodin-Bourget s’est aussi retrouvée « à sec », les fontaines taries, tout comme une partie du réseau communal d’eau potable. « En creusant, ils avaient capté les sources qui alimentaient le village », explique le maire adjoint. Telt reconnaît la responsabilité du chantier dans l’assèchement de la commune et, en compensation, construit un aqueduc de cinq kilomètres pour acheminer l’eau d’une source d’altitude, sous le col de la Masse. Mais trop peu minéralisée, celle-ci doit être mélangée à de l’eau venue de La Norma pour être potable.
Pas de quoi rassurer les élus locaux. « La source du col de la Masse n’est pas pérenne car elle provient de névés. Or ici, nous sommes dans le pôle de sècheresse de la Savoie, avec un déficit pluviométrique marqué. S’ils ont préféré financer une nouvelle canalisation plutôt que de nous rendre les sources, avance Philippe Delhomme, c’est qu’ils vont avoir besoin d’eau en quantité phénoménale pour le forage du tunnel et l’avancée du tunnelier. » Une interprétation que Telt rejette vigoureusement. « L’eau ne disparaît pas, rétorque Éric Vaillaut, responsable de la concertation avec les collectivités locales. Elle reste dans le massif. Elle est pompée en permanence dans la descenderie, puis rejoint des bassins de décantation, avant d’être rejetée dans l’Arc. » « D’ailleurs, l’association de pêche de Villarodin utilise les bassins pour élever des truites », souligne-t-il.
Après les poissons, les moutons
Au bord de la rivière, justement, se dresse une drôle de colline aux contours bien réguliers sous la neige : c’est là que Telt a entassé 500 000 mètres cubes de déblais. « Ils avaient promis qu’ils seraient stockés provisoirement puis enterrés ou valorisés pour les voies ferrées », affirme le maire. Malgré l’opposition vigoureuse des habitants et de la direction du parc de la Vanoise, le dépôt est resté « dans une zone à fort risque d’inondation ». « On ne peut plus s’en débarrasser car la butte a été terrassée, végétalisée », soupire l’élu. Là encore, Telt se défend en jouant la carte écolo. Après les poissons, les moutons : « Aujourd’hui, grâce au succès de la revégétalisation du site, des agriculteurs y font paître leurs troupeaux », vante Éric Vaillaut.
La commune n’en a pas fini avec les avanies : Telt va implanter la zone de chantier du tunnel de base dans le secteur des Moulins, un terrain composé de dizaines de parcelles de jardins en cours d’expropriation. « On aura une carrière à ciel ouvert au cœur des trois villages et cela durant dix à quinze ans, sans parler du défilé des camions, déplore Gilles Margueron. Pour nous qui vivons essentiellement du tourisme, c’est un coup dur. » Les élus s’opposent aussi à l’ensevelissement de la commune sous le monceau de déblais que Telt leur réserve : 3 à 4 millions de mètres cubes devraient être entreposés sur une zone aujourd’hui recouverte de pins sylvestres. « Telt va revaloriser un maximum de déblais, sous forme de granulats pour le béton ou les chaussées, minimise Éric Vaillaut. Notre objectif n’est pas de les mettre en tas. »
Les élus de Villarodin ont beau se battre pied à pied contre le projet, ils enchaînent les défaites : malgré une majorité de voix contre, qui se sont exprimées durant l’enquête publique en 2010, et la preuve apportée que les enquêtes d’impact environnemental avaient été bâclées, le préfet délivre la déclaration d’utilité publique. La commune écope des déblais honnis. « On a été obligé par l’État d’inscrire dans notre plan local d’urbanisme une zone réservée Lyon-Turin », se résigne le maire. Conséquence, Telt peut racheter les terrains expropriés pour une bouchée de pain : « De 50 centimes d’euro le mètre carré pour la bonne terre des jardins de la zone des Moulins, on a seulement obtenu de monter à 2 euros », ajoute Gilles Margueron, amer.
Longtemps, la majorité des habitants et des élus ont été favorables au Lyon-Turin, se souvient l’élu, qui dirige l’école de ski de La Norma. « On pensait que c’était la bonne solution pour délester l’autoroute des camions. À vrai dire, on ne savait pas grand-chose du projet », reconnaît-il. En Maurienne, les habitants sont plutôt taiseux sur le sujet. « Ils ne bougent pas tant qu’ils n’ont pas un caillou dans leur jardin, regrette le maire. Alors que le projet concerne toute la région, les Alpes ! »
Le fatalisme résigné d’une vallée habituée aux grands chantiers imposés par l’État – des barrages hydroélectriques à la construction du tunnel du Fréjus, puis l’autoroute de Maurienne – le dispute à l’espoir d’une manne économique. Telt fait miroiter la création de 6 000 à 10 000 emplois directs et indirects sur les dix ans que durera le chantier de construction du tunnel, dont une majorité sera réservée aux Mauriennais. « Mais quid des emplois qui seront supprimés ? » interroge Philippe Delhomme, qui évoque, à titre d’exemple, la fermeture annoncée des gares de Modane et de Saint-Michel-de-Maurienne.
Pour garder sa liberté d’expression et de contestation, le conseil municipal a décidé de bloquer l’argent issu de la vente de terrains communaux expropriés sur un compte à la Caisse des dépôts. « On n’y touchera pas, assure le maire. On ne veut pas collaborer au chantier. » Dans cette même logique, les élus ont aussi voté le refus des aides et compensations financières que Telt distribue aux communes de Maurienne. Un fonds d’accompagnement et de soutien territorial (Fast) de 32 millions d’euros, mis en place par l’État en 2015, est géré par Telt pour les mesures compensatoires et l’aide au développement territorial. Quant au « contrat de territoire » Grand Chantier signé en 2016 par l’État, la Région, le département de la Savoie et le syndicat du pays de Maurienne, il alloue, d’ici à 2020, 40,7 millions d’euros à l’accompagnement du chantier et du territoire.
« Comment voulez-vous que les communes osent s’opposer ensuite ? » interroge Philippe Delhomme. Même Villarodin-Bourget a cédé une fois au rouleau compresseur de la tentation, confesse Gilles Margueron : « On a accepté de l’aide pour la construction de la maison d’assistance maternelle. » Une petite brèche qu’Éric Vaillaut ne manque pas de souligner : « Villarodin-Bourget a profité du Fast pour ce projet. On sait que le maire ne nous aidera pas, précise-t-il. Mais on continue de discuter avec lui. »
À Villarodin-Bourget, l’opposition s’est initialement cristallisée autour des nuisances, « sur la seule défense de notre territoire », reconnaît Gilles Margueron. Lorsqu’il est élu, en 2008, avec une équipe municipale opposée au Lyon-Turin, mais isolée dans la vallée, il cherche du soutien auprès des NO TAV du val de Suse, qui connaissent le projet sur le bout des doigts. Les élus rencontrent aussi la figure de la coordination française contre le Lyon-Turin, Daniel Ibanez. « Là, on a compris qu’on nous avait menti : le trafic des camions dans la vallée n’a pas été multiplié par cinq, comme on nous l’annonçait dans les années 1990, et il y a bien une solution alternative avec la ligne ferroviaire existante », résume Philippe Delhomme.
« Les élus de Villarodin-Bourget ont constaté que claquer 26 milliards pour ce projet, c’est irresponsable, confirme Daniel Ibanez. Les prévisions des promoteurs du Lyon-Turin tablaient sur un trafic de 2,7 millions de poids lourds par an entre la France et l’Italie. Aujourd’hui, en cumulé aux tunnels du Mont-Blanc et du Fréjus, il n’en passe que 1,36 million. Depuis vingt ans, tous les services de l’État – du Conseil général des ponts et chaussées à l’Inspection générale des finances – dénoncent ces hypothèses de trafic surestimées et rappellent que la ligne ferroviaire existante sous le tunnel du Fréjus n’est ni saturée ni obsolète. »
À Villarodin-Bourget, la contestation a mûri au fil des années, passant du « nymbisme » à l’opposition franche et globale. La commune remet aujourd’hui en cause l’utilité publique même d’un projet pharaonique et irréversible, une fois le tunnel sous les Alpes creusé. Les préconisations du rapport Duron, remis au gouvernement jeudi 1er février, ont de quoi les réjouir. Si la ligne ferroviaire en elle-même – projet hautement politique et diplomatique puisque relevant des relations entre la France et l’Italie – n’est pas remise en cause, le rapport Duron égratigne sa justification, à savoir les prévisions d’augmentation du trafic de fret entre les deux pays. « Les caractéristiques socio-économiques apparaissent à ce stade clairement défavorables », écrit le COI. Il en conclut que les travaux d’accès au tunnel transfrontalier seront au mieux « à engager après 2038 ».
Boite Noire
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Côté italien, le débat s’est émoussé
7 févr. 2018 Par BENIAMINO MORANTE
Plutôt absente de la campagne électorale, la question de la ligne Lyon-Turin pourrait resurgir de plus belle après le vote du 4 mars. Surtout en cas de victoire du Mouvement 5 étoiles, dont le chef de file a dit vouloir bloquer le projet.
C’est un peu Notre-Dame-des-Landes en version transalpine. Le chantier le plus controversé du pays. En Italie, la question de la construction de la ligne ferroviaire à grande vitesse Lyon-Turin (appelée TAV, Treno Alta Velocita) a longtemps été au centre des débats. Voilà une vingtaine d’années que les habitants du val de Suse protestent contre ce projet et, depuis cette région du Piémont, le conflit s’est déplacé vers les hautes sphères de la politique, où les positions divergent.
Historiquement, les partis de droite et le Parti démocrate (PD) sont favorables à la TAV, alors que la gauche plus critique y est opposée. Mais l’opposition à la construction de la ligne Lyon-Turin a surtout été un cheval de bataille du Mouvement 5 étoiles. Depuis toujours opposé au projet, le M5S voit dans la TAV le symbole même de ces « grands travaux inutiles » qui coûtent cher et n’apportent rien au pays. Beppe Grillo lui-même s’est rendu plusieurs fois dans le val de Suse d’où, en 2011, il avait harangué les manifestants NO TAV avec des déclarations au vitriol : « Ici, l’État est en train de tester la dictature… ce que nous sommes en train de faire, c’est une guerre civile. »
Depuis les élections législatives de 2013, l’attention médiatique autour de la construction de la ligne Lyon-Turin est progressivement retombée. La question est absente de la campagne électorale. Mais tel un vieux serpent de mer, elle devrait bientôt resurgir. Si la coalition de droite (formée par Forza Italia, la Ligue du Nord et Fratelli d’Italia) remportait le scrutin du 4 mars, nul doute que le projet continuerait. Durant ses deux mandats de président du Conseil (de 2001 à 2006 et de 2008 à 2011), Silvio Berlusconi a poursuivi le projet de la TAV.
Pour ce faire, il a toujours été appuyé par ses alliés de la Ligue du Nord et ce, même si des politiques du parti fédéraliste ont parfois émis des réserves sur la TAV. C’est le cas de l’actuel leader de la Ligue du Nord, Matteo Salvini lui-même, qui déclarait en 2015 que, s’il était au gouvernement, « il y aurait un référendum car il revient toujours aux citoyens de décider ». Une affirmation qu’il faut remettre dans son contexte, puisque Salvini avait fait ces déclarations alors qu’il se trouvait au Piémont, à une époque où l’alliance avec Berlusconi n’était pas encore scellée.
Dans l’éventualité d’un gouvernement mené par le Parti démocrate, là aussi, le projet de la TAV devrait se poursuivre. En 2013, Matteo Renzi écrivait dans son livre Oltre la rottamazione (Au-delà du renouvellement) que « la TAV risqu[ait] d’être un investissement hors d’échelle et hors du temps » et parlait « d’ouvrage inutile ». Mais depuis, de l’eau a coulé sous les ponts puisque sous son mandat, le projet a bel et bien continué. Le programme du PD pour ces élections ne cite pas directement ce dossier mais, en l’état actuel des choses, rien n’indique que les démocrates pourraient changer d’opinion sur la question.
Pour les opposants au projet, l’espoir réside donc surtout dans un éventuel exécutif 5 étoiles ; afin de balayer tous les doutes, le 10 septembre dernier, Luigi Di Maio, chef de file du Mouvement, déclarait que « si nous gouvernons, nous bloquerons la TAV ». Mais si à première vue la ligne du M5S semble claire, force est de constater que le programme du Mouvement version 2018 ne mentionne pas l’arrêt de la TAV. On y parle « de mettre un terme à la période des grands travaux inutiles », mais sans citer explicitement la ligne Lyon-Turin. Un détail peut-être, mais le programme du 5 étoiles en 2013 stipulait lui, noir sur blanc, la volonté d’« arrêter immédiatement la TAV dans le val de Suse ».
Malgré cet “oubli”, difficile de croire que le Mouvement 5 étoiles n’arrêterait pas la construction de la ligne Lyon-Turin en cas de victoire aux élections. En ce sens, la nouvelle candidature au siège de sénateur, dans les listes du M5S piémontais, du militant NO TAV Marco Scibona représente un message clair. En réalité, le vrai problème pour Di Maio consistera à trouver une majorité parlementaire pour arrêter le projet. Les voix du M5S ne suffiront sûrement pas ; mais alors, vers qui se tourner ?
Il faudra nécessairement regarder à gauche du PD, mais la liste Libres et égaux ne semble pas faire de l’arrêt de la TAV une priorité, puisque celle-ci n’est jamais citée directement dans son programme, même si l’on y déclare que les investissements publics doivent être « diamétralement opposés à la logique des grands travaux ».
Finalement, le seul mouvement qui se présente aux élections en citant explicitement la ligne Lyon-Turin dans son programme est Potere al Popolo (« le pouvoir au peuple »). Ici, il est écrit noir sur blanc qu’il faut aller vers « un arrêt des grands travaux, en commençant par la TAV en val de Suse ». Par ailleurs, le mouvement présente, dans la circonscription du Piémont, la candidate Nicoletta Dosio, une militante NO TAV de longue date. Néanmoins, si l’on se fie aux sondages, Potere al Popolo a peu de chances de faire élire des représentants au Parlement lors des prochaines élections. Après le 4 mars, le Mouvement 5 étoiles risque donc de se retrouver sans alliés dans sa bataille contre la ligne Lyon-Turin. Une situation qui ne fera pas peur au Mouvement, lequel a jusqu’ici construit son succès grâce à ses batailles menées en solitaire.
URL source: https://www.mediapart.fr/journal/international/070218/cote-italien-le-debat-s-est-emousse