Il Consiglio generale di Confindustria a Torino, Città No TAV, il 3 dicembre 2018

Nel giorno in cui si inaugurava la COP 24 in Polonia, Confindustria si è riunita a Torino, Città No TAV e ha affermato:

“Dobbiamo proteggere i “nostri” grandi Progetti dei Corridoi europei”

Le Opposizioni nei Territori Rilanciano il Bel Paese e Difendono il Futuro del Pianeta

La più grande opera pubblica è la manutenzione dei territori e delle infrastrutture, ponendo l’ambiente e il paesaggio al centro di un programma che sia all’altezza delle sfide poste dal cambiamento climatico


-     Le Ambizioni e gli Obiettivi di Confindustria

-     Sintetico Esame delle Necessità del Paese

-     Confindustria e la Torino-Lione

-     La Convenzione di Århus e il Diritto dei Cittadini

-     Incertezze nella Realizzazione dei Mega Progetti

-     I Costi Nascosti della Torino-Lione

-     Conclusione: La Scelta Inevitabile, Contributo alla Difesa del Paese


LE AMBIZIONI E GLI OBIETTIVI DEL VERTICE DI CONFINDUSTRIA

Perché il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha annunciato: “Il 3 dicembre saremo a Torino, con molte altre categorie, con un Consiglio generale allargato a tutti i presidenti d’Italia”?

La risposta data pare banale: “Porremo la questione delle infrastrutture a partire da Torino che diventa una città simbolo. Si parte dalla Torino-Lione e si parla dell’importanza delle infrastrutture”.

Come annunciato, il presidente di Confindustria, nel corso della cerimonia celebrata lunedì 3 dicembre nel pomeriggio nella Grande Sala delle OGR di Torino, allo scopo di sottolineare l’importanza delle infrastrutture in Italia e la Torino-Lione in particolare, ha fatto firmare ad altre dieci associazioni il Manifesto Sì TAV, il manifesto dei Nostri Grandi Progetti dei Corridoi europei, come vengono definiti nel testo.

Questo manifesto contiene molta “ideologia”, molta propaganda, molte falsità, manca di visione verso il futuro, ed è stato fatto firmare nel giorno in cui si inaugurava la Conferenza della ONU sul clima COP24 di Katowice, il cui obiettivo principale è la ricerca di un accordo sulle regole per attuare l’Accordo di Parigi del 2015.

Questo manifesto, pur contenendo attenzione ai bisogni dei territori, non fa alcun riferimento al riscaldamento globale del Pianeta e non indica quali soluzioni occorre urgentemente mettere in campo. Sarebbero attività dalle quali le aziende – soprattutto le medie e le piccole – potrebbero trovare sviluppo e profitti, e assicurare centinaia di migliaia di posti di lavoro.

È stato un atto di dominio delle imprese di Confindustria (che non si possono nemmeno più chiamare grandi) verso le medie e le piccole imprese che si sono sottomesse per disciplina e per incapacità politico-imprenditoriale.

È stato un atto che ostacola le azioni che l’Italia dovrebbe portare avanti per fronteggiare le gravi conseguenze del cambiamento climatico.

È noto che il mondo “occidentale”, e le economie che ne stanno seguendo il modello, è iperinfrastrutturato.

Gli investimenti dovrebbero essere dunque diretti non verso nuove infrastrutture, ma verso la produzione di beni e servizi con elevata utilità sociale, in modo meno energivoro, con razionale uso e rigenerazione dell’esistente e delle risorse disponibili, senza l’ossessione della crescita infinita, risparmiando suolo, acqua, aria, riducendo le emissioni di CO2, usando energie rinnovabili alternative a quella derivante da combustibili fossili.

Chiedere più infrastrutture in Italia -a partire dalla Torino Lione- per continuare con il Terzo Valico, il TAP, ecc.- appare, alla luce dell’Accordo di Parigi del 2015 sul clima, sottoscritto dall’Italia, e dei visibili sconvolgimenti climatici, non solo un programma fuori dal tempo per la crescita del nostro Paese, ma un vero e proprio assalto alle sfinite casse dello Stato, che porterà solo ad aumentare il debito pubblico italiano.

La richiesta di Boccia ha l’evidente scopo di accaparrare a favore di ristrette cerchie di settori privilegiati della società, cui sicuramente non sono estranei gli associati di Confindustria, e ancor meno banche e istituzioni finanziarie, imponenti risorse pubbliche, inevitabilmente a scapito di altri più utili impieghi.

Nei fatti questo è un programma che assegna all’imprenditorialità italiana una mera funzione parassitaria, di sussidio perenne.

È forse questo che vuole il Presidente Boccia?

UNA SFIDA A CONFINDUSTRIA

Se il Presidente Vincenzo Boccia desidera collocare l’imprenditoria italiana sui binari della Torino-Lione, è utile ricordare che gli accordi tra Italia e Francia avevano previsto la mobilitazione di capitali privati al fine di limitare l’incidenza del progetto sulle finanze pubbliche (cfr. l’Allegato n. 2 dell’Accordo di Roma 30.1.2012).

Ma fino ad oggi non un solo euro “privato” è stato offerto per questo progetto.

Di fronte all’incertezza di una decisione governativa per la Torino-Lione (Tunnel di Base), l’imprenditoria italiana riunita a Torino avrebbe potuto osare e trovare dei ragionevoli motivi per rispondere “Presente!” a questa sfida del 2012 sino ad oggi disattesa.

La Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione è stata progettata quasi trent’anni anni fa per far fronte a un aumento di traffici rivelatosi, nel tempo, in costante calo. L’infrastruttura esistente (linea e tunnel), completamente rinnovata, è oggi utilizzata molte volte al di sotto delle sue potenzialità. Da allora tutto è cambiato sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo.

I “capitani coraggiosi”, così persuasi della bontà del progetto Torino-Lione, non hanno argomentato il loro convincimento se non con retoriche affermazioni e con un solo obiettivo: che lo paghino i cittadini!

Si sono ben guardati dall’offrire al Paese il finanziamento diretto della costruzione del tunnel di base della Torino-Lione, con propri capitali di rischio, senza garanzie pubbliche e senza alcun altro beneficio diretto o indiretto.

Un’offerta in questo senso è stata lanciata da un esponente politico piemontese che, con abile gioco delle tre carte, ha tuttavia previsto a questo scopo di utilizzare i fondi dei soli piemontesi al posto di quelli di tutti gli italiani.

SINTETICO ESAME DELLE NECESSITA’ DEL PAESE

Il prof. Alberto Ziparo, Docente di Pianificazione all’Università di Firenze, ha affermato che “La più grande opera pubblica è la manutenzione dei territori e delle infrastrutture, ponendo l’ambiente e il paesaggio al centro di un programma che sia all’altezza delle sfide poste dal cambiamento climatico”.

Occorre prevenire le catastrofi, non solo intervenendo su logore e vecchie infrastrutture come il Ponte Morandi di Genova, ma su tutto il costruito del Belpaese con monitoraggi costanti e programmazione certa degli interventi.

Questo obiettivo può essere ottenuto attraverso appalti assegnabili alla moltitudine di piccole e medie imprese che, per fare manutenzione per il prolungamento della vita delle infrastrutture esistenti, trarrebbero linfa per sopravvivere invece di essere strangolate dai subappalti delle grandi imprese.

Sempre il prof. Ziparo ha sostenuto che “in Italia negli ultimi 20 anni si sono spesi oltre 170 miliardi di Euro per nuove opere (130 solo per le linee ferroviarie ad AV), laddove per la manutenzione del più grande patrimonio infrastrutturale dell’occidente – stando al rapporto lunghezza delle reti/abitanti- si è investito meno del 10% di tale cifra. La spesa per manutenzione delle reti esistenti è calata di recente da 7,2 a 2,2 euro per chilometro all’anno, un’inezia.[1]

Al Paese occorrono investimenti per la scuola e l’università, l’innovazione e la ricerca, la creazione di posti lavoro sicuri, ben retribuiti, di elevato livello professionale, investimenti ad alto ritorno occupazionale, benessere e sicurezza sociale e servizi efficienti ai cittadini attraverso sanità, giustizia, mobilità collettiva alternativa, senso dello Stato nelle classi dirigenti e altro ancora sotto gli occhi di tutti ogni giorno.

L’enorme fabbisogno di risorse impone la finanziarizzazione del comparto infrastrutturale, volutamente incentrato su sempre nuovi mega progetti privilegiati rispetto alla manutenzione e cura dei territori.

Ne consegue l’inevitabile esito di cementare blocchi di potere tra costruttori, grandi istituzioni finanziarie e politica, accomunate in un perverso vortice di consenso reciproco.

Con riferimento al crescente ruolo della criminalità organizzata, sempre pronta a dare una mano nel settore delle costruzioni, attendiamo di conoscere da Confindustria visibili iniziative contro il dilagare di questo “socio occulto” di molte, troppe imprese, come ha denunciato pochi giorni fa il Presidente della Commissione antimafia Nicola Morra.

Il prof. Ziparo ha ricordato che il MISE stimò qualche anno fa in 180 miliardi di euro circa la cifra necessaria per la messa in sicurezza sismica, idrogeologica e da altri danni del patrimonio urbanistico e territoriale nazionale: un programma ventennale a disposizione dell’imprenditoria italiana.

LA CONVENZIONE DI ÅRHUS E IL DIRITTO DEI CITTADINI

È stato da tempo sottolineato l’indispensabile coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni per la pianificazione del territorio e degli interventi, come previsto dalla Convenzione di Århus del 1998 che è legge dello Stato, perché essi sono capaci di proporre alternative valide in quanto portatori prioritari e diretti di interessi che non sono veicolati da mediazione politica e/o da processi istituzionali opachi e anti democratici.

Le opposizioni contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la difesa dei territori rivendicano il loro ruolo positivo e propositivo attraverso la richiesta di molteplici alternative disponibili per contrastare la rovinosa aggressione al nostro unico spazio per vivere. Protagoniste del cambiamento, esse sono parte della soluzione, non il problema.

È dimostrato che le resistenze dei cittadini nei territori difendono e migliorano il Bel Paese e sono un alto argine contro le mafie. Siamo di fronte ad un impegno volontario e civile che andrebbe riconosciuto e premiato.

I cittadini esigono che gli investimenti pubblici siano fatti in opere che garantiscano il requisito fondamentale di “PUBBLICA UTILITÀ” a difesa del bilancio dello Stato che il Presidente Mattarella ha definito bene pubblico.

INCERTEZZE NELLA REALIZZAZIONE DEI MEGA PROGETTI

Circa le incertezze, il prof. Bent Flyvbjerg[2] lancia un allarme: “Ci sono sempre stati dei grandi progetti che sono falliti, la differenza oggi è che adesso ce ne sono molti di più, sono molto più grandi, e i fallimenti sono più spettacolari”.

È noto agli studiosi del settore che alla base delle crescenti difficoltà a portare a termine i mega progetti ci sono ragioni ecologiche, economiche e di resistenza sociale che rendono queste iniziative -che richiedono investimenti miliardari- più difficili e rischiose da realizzare. Anche perché la scala colossale della progettazione e della realizzazione dei mega progetti rende problematica l’impostazione delle attività e la valutazione dei costi.

Il tempo che intercorre tra la progettazione e la fine della costruzione è di dieci e più anni, un tempo sufficiente perché le condizioni di mercato cambino in modo significativo. Ormai ogni mega progetto si conclude dopo il tempo previsto, e con costi molto maggiori. Questo rende sempre più nervosi gli investitori.

È ancora Bent Flyvbjerg a spiegare che “il cambiamento climatico e la transizione da una economia da fonti fossili a un’economia basata sul rinnovabile hanno un grosso impatto sui mega progetti”.

Come memento per le decisioni degli imprenditori e dei finanziatori, Bent Flyvbjerg si è posto questa domanda: “Perché si realizzano i progetti peggiori e non i migliori? Ci si aspetterebbe che gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale al volume finanziario di un’iniziativa”.

Sorprendentemente, però, le analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle aspettative; ovvero, i progetti di dimensione maggiore come la Torino-Lione sono quelli più soggetti a fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione rispetto a quelli più piccoli. Tra le cause del fallimento Bent Flyvbjerg ha individuato queste:

-      un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare,

-      valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate,

-      decisioni di (iper) progettazione in una fase iniziale di pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti significativi ai piani,

-      diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi,

-      la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi successivi le pretese supplementari,

-      competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti pubblici che gestiscono il progetto,

-      struttura inappropriata delle società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in modo da dare privilegi ad alleati politici.

Questa pare essere anche la situazione del progetto della Torino-Lione, confermata dall’Osservatorio Governativo nel Quaderno n. 10 nel quale a pagina 58 è scritto:

Non c’è dubbio che molte previsioni fatte 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti.”

I COSTI NASCOSTI DEL PROGETTO TORINO-LIONE

Ma c’è un altro fatto sul quale desideriamo richiamare l’attenzione di Confindustria, ricordando nuovamente le parole del Presidente Mattarella: il bilancio dello Stato è un bene pubblico.

Gli accordi con la Francia statuiscono che l’Italia dovrà pagare la maggior parte dei costi della parte transfrontaliera della Torino-Lione: perché l’Italia deve finanziare la Francia?

La ripartizione asimmetrica dei finanziamenti tra i due Paesi prevista nell’Accordo del 2012 genera un costo al km del tunnel per l’Italia di €287 milioni, ben 4,8 volte più caro del chilometro francese di €60 milioni al km (cfr. il grafico al fondo).

E’ bene ricordare che questa asimmetria aveva portato i Commissari francesi che hanno redatto il Dossier dell’Inchiesta preliminare alla Dichiarazione di Utilità pubblica della sola parte francese del tunnel a scrivere: “L’operazione è positiva per la Francia a causa dell’assunzione della maggior parte dell’investimento da parte dell’Italia”.

La Francia, mentre continua ancora in questi giorni a dichiarare “a parole” di voler rispettare gli accordi con l’Italia, non ha mai aperto il rubinetto dei finanziamenti per il tunnel di base, nonostante debba mobilitare un piccolo investimento per la Torino-Lione (€2,68 Mld. per 45 km di tunnel) di fronte a quello dell’Italia che sarebbe ben più oneroso (€ 3,50 Mld. per soli 12,2 km).

Confindustria e il Governo in carica sono al corrente di questo futuribile trasferimento di ricchezza italiana alla Francia di circa €2,19 miliardi?

CONCLUSIONE: LA SCELTA INEVITABILE, CONTRIBUIRE ALLA DIFESA DEL PAESE

Invitiamo quindi gli imprenditori italiani di convincersi che, come indicato dagli studi finora condotti anche dall’Osservatorio tecnico governativo, la Torino-Lione è un’opera inutile, dal futuro economico incerto quindi troppo rischioso per il Paese e per chiunque voglia sostenerlo. Non abbiano nemmeno bisogno di suggerire loro di non finanziare questo inutile progetto, tanto non lo faranno.

Chiediamo però a quei pochi, se ve ne sono, di impegnarsi, di fronte al cambiamento climatico, e per difendere il futuro del Paese, a orientare da subito i loro programmi imprenditoriali, e di conseguenza gli investimenti, verso la transizione ecologica e l’economia circolare, con un sostegno pubblico per attuarli.

La VII edizione 2018 (Rimini) degli Stati Generali della Green Economy ha concluso i suoi lavori con un forte messaggio: “il rilancio dell’economia italiana deve avviarsi anche dalla green economy”. A conferma di ciò lo sguardo sul futuro dell’ILO, l’agenzia del lavoro dell’Onu, stima che il cambiamento climatico minaccia 1,2 miliardi di posti di lavoro, e sostiene che sforzi comuni per arginare il global warming creerebbero 65 milioni di posti di lavoro entro il 2030 e un indotto di circa € 23000 miliardi.


Costo del Tunnel di Base e Importi delle relative quote (11/2018)


Confronto tra la lunghezza delle tratte italiana e francese del tunnel di base e il relativo costo al km

Francia (km 45) € 60 milioni/km – Italia (km 12,5) € 287 milioni/km


[2] Bent Flyvbjerg, professore di Management delle Grandi Opere presso la Saïd Business School della Oxford University He is the most cited scholar in the world in megaproject planning and management and a leading international expert within the field of programme management and planning. His book “Megaprojects and risk: an anatomy of ambition” is considered essential reading for project managers, sponsors and those involved in megaprojects.