Per aiutare i Decisori Politici che stanno costruendo il futuro del progetto Torino-Lione, uno scienziato, il prof. Angelo Tartaglia, ha inviato una Lettera Aperta alla Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, ai Sindaci di Torino e dei Comuni della Valle Susa.

Si tratta di una vera e propria immersione nella realtà del mondo fisico, un aiuto per ragionare nel merito, alla ricerca della verità adeguata ai tempi e al futuro, utile per “cambiare idea” in questa fase storica nella quale la Pandemia Covid-19 impone dei visibili cambiamenti.

Invito alla riflessione intorno alla Torino-Lione e alle fake news che la accompagnano

di Angelo Tartaglia [1]

Ecco un argomento che è sul tappeto da moltissimo tempo: la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, soprannominata TAV; o meglio, il tunnel di base, perché la linea è al momento al di là dell’orizzonte.

“Ancora!”, mi dirà. “Non se ne può più!” E in effetti non se ne può più ed è proprio per questo che vorrei porle qualche domanda, ben sapendo di non essere io il depositario delle risposte. Forse sono solo ingenuo, ma ho la sensazione che in questa vicenda (e per la verità anche in molte altre attinenti alle decisioni da assumere in sede istituzionale) ci si trovi davanti ad una specie di recita con copioni predefiniti. Gli attori impersonano dei ruoli fissi e sono schierati in base al copione o di qua o di là, dopodiché declamano quanto la loro parte prevede. Il mondo reale non è in scena, ma, ahimè, la scena ha un impatto tutt’altro che marginale sul mondo reale.

Non sarà il suo caso, ed è proprio per questo che mi permetto di tornare una volta di più sul merito della questione, pregandola di voler cortesemente correggere i miei errori, se tali sono. La sensazione però di trovarmi in un mondo di cartapesta che poi pretende di plasmare a propria immagine e somiglianza il mondo reale fatica ad abbandonarmi. Eppure siamo tutti ugualmente umani dotati allo stesso modo di ragione e nessuno ha la verità in tasca, per cui la strada da seguire dovremmo sceglierla insieme sulla base di un confronto di argomenti e non di logiche di schieramento, fermo restando il rischio di sbagliare, da cui nessuno è esente.

Comincerò con una domanda. Ma lei davvero immagina, per la generazione che oggi è adolescente, un futuro fatto di quantità crescenti di materia, lavorata e non, spostate di qua e di là per il mondo e in specifico per l’Europa? Quantità crescenti implicano naturalmente un fabbisogno crescente di energia e le trasformazioni dell’energia, se in misura sempre crescente, implicano “effetti collaterali” a loro volta ad impatto crescente, primo fra tutti, di questi tempi, l’emissione di quantità inesorabilmente in crescita di gas climalteranti, con tutto quello che ne consegue e di cui anche lei è certamente al corrente. I meccanismi che producono quegli “effetti collaterali” non dipendono dagli schieramenti, dalle maggioranze e dalle minoranze, dalle leggi votate in parlamento o dalle delibere assunte in questa o quella assemblea elettiva, e nemmeno da Confindustria. Rispondono viceversa a tetragone “leggi” (ripeto: non votate da nessuno) legate alla struttura fisica del mondo: se la composizione dell’atmosfera cambia, la temperatura superficiale del pianeta aumenta e il clima si approssima a una o più condizioni critiche cui seguono bruschi tracolli con drammatiche conseguenze non controllabili.

Lei, mi scusi, pensa forse che qualche magico colpo di scena “scientifico” possa travalicare i vincoli fisici di un sistema? Le assicuro che quei limiti non sono valicabili, se non nel mondo dei sogni; vero è che c’è stato chi ha detto che “non esistono limiti per l’uomo che segue i suoi sogni”, ma qui, complice l’ideologia, sconfiniamo nella magia e, direi, nella superstizione.

Torno al tema. Sbaglio se dico che alla base di una qualsiasi infrastruttura di trasporto ci sta un traffico, in atto o prevedibile, adeguato all’impegno richiesto dalla costruzione e dall’intrattenimento dell’infrastruttura medesima? Tanto più ora che l’impatto globale delle nostre azioni è diventato evidente. Le risorse materiali del pianeta vanno usate in misura e a una velocità compatibili con la possibilità di sostanziale ricostituzione naturale (non è questa la circolarità?) e, allo stesso modo, l’energia deve essere usata con parsimonia e seguendo lo stesso criterio di circolarità. Insomma, perché il gioco valga la candela bisogna che ci sia un traffico adeguato, ma lo stesso traffico non può essere un a priori quasi ontologico e trascendente.

E qui il problema si sdoppia: a) se, a parità di condizioni, di organizzazione sociale ed economica, di sistema, il traffico materialmente ci sia; b) se, qualora il traffico non ci fosse, sia desiderabile che esso si sviluppi nella misura richiesta per dare un senso all’infrastruttura.

Il modo per rispondere al primo punto è quello di guardare la realtà considerando i dati e le statistiche fornite dagli enti preposti al monitoraggio del traffico (concretamente e prevalentemente si tratta dell’Ufficio Federale dei Trasporti della Confederazione Elvetica che collabora con il Directorate-General for Mobility and Transport dell’Unione Europea). Questi dati, in estrema sintesi, ci dicono che negli ultimi vent’anni il traffico commerciale in tutte le modalità attraverso l’intera frontiera terrestre tra Italia e Francia (dal mare al Monte Bianco) è calato più o meno del 10% e quello ferroviario è crollato del 74%; nello stesso tempo il traffico complessivo attraverso l’intero arco alpino è cresciuto all’incirca del 37%, sostanzialmente lungo le direttrici da nord a sud attraverso le frontiere svizzera e austriaca. Sui fatti non ci sono margini per voli pindarici; tutt’al più si può osservare che, per non prendere cantonate, bisogna considerare un arco temporale adeguato e non spigolare su dati singoli magari scelti ad hoc per appoggiare questa o quella tesi: qui abbiamo considerato appunto un ventennio.

A giudicare dunque dai fatti la dinamica interna del sistema dei trasporti sembra comportare un tendenziale ridimensionamento dei flussi attraverso l’arco alpino occidentale, mentre mantiene un andamento orientato alla crescita lungo le direzioni nord-sud: l’effetto complessivo è comunque di crescita (circa l’1,6% all’anno). Peraltro sia in un caso che nell’altro le direttrici considerate interessano la pianura padana e i porti di cui questa è il retroterra. Ciò detto, il sistema dei trasporti a scala nazionale e continentale è “complesso”; non lo dico in senso discorsivo, ma tecnico: a determinare una qualsiasi evoluzione concorrono una pluralità di cause distribuite in tutto il sistema e anche al di fuori di esso (intendo a scala mondiale); il sistema non segue una logica “lineare”.

Non è questa la sede per approfondire l’argomento, ma naturalmente lo si può fare se lo si ritiene utile. Vorrei piuttosto evidenziare un altro aspetto che attiene alla categoria dei fatti. I proponenti l’opera, per sostenere la loro proposta, hanno elaborato delle “previsioni” riguardo all’evoluzione futura dei traffici lungo la direttrice che sarebbe poi stata servita dalla nuova infrastruttura. Previsioni di questo genere si fanno sulla base di modelli matematici il cui “prodotto” dipende dalla scelta del valore dei parametri e delle ipotesi che ci si mettono dentro e inoltre le previsioni sono sempre accompagnate da un intervallo di incertezza a sua volta dipendente dall’incertezza sui parametri e sulle ipotesi. Mi scusi, non voglio infastidirla con questi dettagli. Sta di fatto che le “previsioni” dei proponenti, sviluppate a partire dal 2004 e relative ad un arco di tempo di svariati decenni, ormai si sovrappongono per una quindicina di anni alla realtà e, a parte il non indicare margini di incertezza, risultano molto diverse da quanto accade nel mondo reale. Secondo le “previsioni” il traffico ferroviario merci lungo le valli di Susa e della Maurienne dovrebbe oggi (in assenza di nuova infrastruttura anche nella previsione) essere circa quattro volte quello che in realtà è. Nel 2035, poi, il traffico ferroviario “previsto” sarebbe ben 14 volte quello di oggi. Sbaglio di molto se dico che quelle previsioni sono inattendibili? Se effettivamente sbaglio, potrebbe per cortesia indicarmi dove?

Si sa: nel complesso gioco dei rapporti umani molto spesso la verità o meno di quel che si dice è un elemento secondario (una “esternalità” se volessimo usare il gergo degli economisti); ciò a cui si dà realmente importanza è chi dice qualcosa non che cosa si dice: i mezzi di comunicazione di massa ne forniscono continui esempi. Per questo, anche se il problema certamente non la tocca, le segnalerò, se già non lo sapesse, che l’inattendibilità che ho rimarcato è stata riconosciuta anche dall’Osservatorio della Presidenza del Consiglio dei ministri (Quaderno n. 10, novembre 2017, p. 80-81), nonché dal consulente cui si è affidata la Corte dei Conti Europea (European Court of Auditors: ECA) per redigere la parte relativa al TAV del suo Rapporto Speciale ECA n. 10/2020, il prof. Yves Crozet, dell’Università di Lione.

Osservo anche che, perché una infrastruttura di trasporto come il tunnel di base della Torino-Lione possa giustificarsi, non basta che il traffico raggiunga un livello adeguato, molto superiore a quello corrente, ma bisogna anche che migliori il cosiddetto “riparto modale”, in altre parole che una parte del traffico che oggi viaggia su strada si sposti su ferrovia. I proponenti, anche a questo riguardo, fanno una previsione: che all’entrata in funzione del nuovo tunnel (la data da loro presa come riferimento è il 2035) ben il 55% del traffico merci terrestre tra Italia e Francia finisca sulla rotaia (oggi è circa il 7,4%). Anche qui conviene dare un’occhiata al mondo reale e si trova che negli ultimi vent’anni il riparto modale nell’Europa a 28 (tenendoci dentro anche la Gran Bretagna) è rimasto inchiodato a una quota del 20% per la ferrovia, a prescindere da qualsiasi politica dei singoli stati, inclusa la realizzazione di infrastrutture, dei tunnel alpini e di quello sotto la Manica; anzi tredici stati entrati dopo il 2000 e che avevano, per ragioni storiche, un riparto dell’ordine del 45% si sono progressivamente allineati con gli altri raggiungendo anch’essi il 20%. Se poi si guarda uno dei partner di questa joint venture, la Francia, si trova che il trasporto ferroviario di merci sul suo intero territorio ha perso il 40% in 17 anni. Insomma, anche qui i fattori in gioco sono veramente tanti e la pretesa che col nuovo tunnel il riparto modale subisca un marcatissimo incremento sembra essere infondata. Memore del fatto che per molti che cosa conta molto meno che chi, ricordo che anche questa realtà è riconosciuta dal rapporto Crozet e trova eco in quello della Corte dei conti Europea.

Mi rendo conto che questa lettera rischia di diventare un po’ troppo lunga per il tempo che le può dedicare, tuttavia vorrei citare ancora un punto. Oggi è ormai molto di moda preoccuparsi “dell’ambiente” e in effetti c’è una preoccupazione (per qualcuno reale, per qualcuno di facciata) riguardo al mutamento climatico per contenere l’impatto negativo del quale l’Unione Europea si è impegnata a ridurre entro il 2030 del 40% (presto probabilmente 50%) le proprie emissioni di CO2. Anche su questo i proponenti hanno dichiarato che l’opera sarebbe “green” e hanno fornito dei numeri. Indubbiamente in fase di costruzione le emissioni in atmosfera aumenterebbero fino alla chiusura dei cantieri (ormai intorno al 2035, quindi oltre il 2030), dopo però la situazione cambierebbe per via delle minori emissioni per tonnellata e chilometro della ferrovia rispetto al trasporto stradale: in capo ad una decina di anni dall’entrata in funzione dell’opera (siamo al 2045) si compenserebbe l’eccesso verificatosi in fase di costruzione e da lì in poi ci sarebbe una effettiva riduzione delle emissioni. Naturalmente se il traffico fosse quello (inattendibile) previsto e se il riparto modale fosse anch’esso quello (inattendibile) indicato.

Ad ogni buon conto, anche utilizzando i valori di traffico e il riparto modale previsti dai proponenti, varrebbe la pena di provare a riprodurre i calcoli che portano ai risparmi di CO2. Bisogna partire dai valori delle emissioni per tonnellata e chilometro rispettivamente della strada e della rotaia: li si trova in manuali specifici in uso in Europa (per la Francia sono reperibili sul sito del governo francese). Detto fatto, qualche semplice moltiplicazione e si trovano dei risparmi sette volte inferiori a quelli dichiarati dai proponenti. Naturalmente ho provato più volte a rifare i conti, ma il risultato è sempre lo stesso.

Lei che dice? Sovrastima dettata dall’entusiasmo? Io tenderei a vederla come una manipolazione intenzionale, ma potrei essere prevenuto. Restiamo al fatto che l’opera non sarebbe “green” proprio per niente. Tanto più che se, a parte i valori in sé ad una qualche data, si assume un andamento crescente delle quantità anche con un’emissione specifica più bassa le emissioni totali risulteranno in crescita, non in diminuzione, come richiesto dal tentativo di mettere un freno ai disastri climatici.

E questo ci riconduce al secondo dei punti che avevo citato più su: è desiderabile e da perseguire l’aumento delle tonnellate movimentate tanto su strada che su rotaia?

Numeri a parte, la saggezza popolare, che non ha bisogno di titoli accademici per esprimersi, consiglia di non chiedere all’oste se il suo vino sia buono, tanto più se c’è il sospetto che l’oste possa barare. Le risorse in gioco sono ingentissime e con quel che sta succedendo, sia dal punto di vista ambientale che sociale, ci sono molte altre urgenze e modi per spenderle.

Lei penso che non sia parente dell’oste e dunque che fa? Lei personalmente intendo, che comunque, maggioranza o opposizione che sia, condivide delle responsabilità istituzionali. Si resta tutti nella parte, al riparo del confortevole recinto del gruppo o dell’associazione di appartenenza, o si entra nel merito?

Certo, lei potrebbe anche osservare, “a questo punto non si riesce più a tornare indietro”. Non me ne voglia, ma agli adolescenti di oggi, nel momento in cui assumiamo decisioni che determineranno il loro futuro, che cosa racconteremo? Che, “be’, ormai è andata così”?

Non so bene che cosa preveda il copione, ma, in questo tempo in cui i teatri sono chiusi, il copione non sarebbe il caso di metterlo da parte?

E magari ragionare nel merito senza presupposti, fermo restando che nessuno, come ho già ricordato, ha la verità in tasca?

Perdoni il lettore una volta ancora l’ingenuità.

 


[1] Former professor del Politecnico di Torino e Membro della Commissione Tecnica Torino-Lione