Approfittando degli incendi che hanno devastato la Valle di Susa, un giornalista ha scritto un pezzo di bravura sulla prima pagina del quotidiano Libero del 31 ottobre. Bravura nello stile dei violenti bravi di manzoniana memoria.
Si è trattato di un ennesimo esercizio di pessimo giornalismo scritto per attaccare le cittadine e i cittadini che difendono la Valle di Susa e l’Italia tutta opponendosi alla costruzione di un inutile e distruttivo tunnel ferroviario sotto le alpi di 57 chilometri che costerà svariati miliardi.
A seguito di questo articolo di Filippo Facci pubblicato il 31 ottobre su Libero, un cittadino della Val di Susa ha inviato questa lettera al Direttore di Libero, ma Feltri non ha risposto.
Egregio sig. Vittorio Feltri, Direttore di Libero
Mi scuso per il tempo che dovrà perdere se mai deciderà di leggere queste poche righe.
Sono un cittadino della Valle di Susa che, come tutti gli altri miei conterranei, non dorme da molti giorni. La mia terra è stata devastata da terribili incendi e non le nascondo che ho pianto e continuo a piangere nell’assistere a tanta devastazione.
Quindi mi comprenderà quando Le dico che le parole scritte sul suo quotidiano da Filippo Facci mi hanno ferito profondamente, come hanno ferito tutti i Valsusini sia NO TAV che SI TAV.
Purtroppo noi cittadini non abbiamo molti modi per rispondere alle infamie che vengono scritte da certi giornalisti. Ci restano i Social, dove funziona meglio l’insulto che il ragionamento e il confronto, ma certamente non hanno efficacia nel controbattere alle parole (non confortate dall’esercizio di verifica dell’attinenza alla verità) scritte su un quotidiano come il Suo.
Ecco, io non la faccio più lunga nella premessa.
Volevo solo Lei sapesse che, pur comprendendo che un giornale più urla e più vende, ritengo che ci dovrebbero essere dei limiti e che lo sciacallare su una tragedia ambientale e umana che sta colpendo una popolazione e un territorio intero dovrebbe stare molto lontano da un giornale che ha l’ambizione di fare informazione e financo opinione.
Di TAV e NO TAV possiamo parlare per cento anni … Parlarne utilizzando una tragedia mi pare davvero immorale e offensivo.
Concludo rispondendo alla domanda che pone (già dando una risposta) il Suo giornalista “dove cazzo erano i NO TAV?”.
Dica per cortesia a Facci che i NO TAV non sono un partito o una squadra di calcio, sono dei cittadini che vivono la loro quotidianità opponendosi a un’opera che ritengono antieconomica, dannosa e inutile. E allora i NO TAV in questi lunghi dieci giorni, insieme a tutti i cittadini della Valle, erano a cercare di fermare le fiamme.
Chi sotto il casco della protezione civile, chi sotto quello dei vigili del fuoco, chi sotto i berretti di cittadini comuni che hanno lavorato rischiando la vita e respirando PM 10 oltre dieci volte le soglie di sicurezza. Erano insomma cittadini che insieme ad altri cittadini hanno fatto il possibile per salvare almeno le case e in Valle di Susa non si è soliti fare queste cose mettendosi magliette di riconoscimento o divise. Forse a Facci sembrerà strano ma una collettività vera vive così. Ci si tira su le maniche e tutti insieme si cerca di reagire alle intemperie della vita. Anche al di là dei tanto sbandierati aiuti di Stato che cita Facci e che qui si sono visti con il contagocce e solo dopo sette giorni di fuoco. Il resto lo abbiamo fatto noi valsusini (NO TAV e non), pensando che così dovrebbero fare tutti, senza troppe lamentazioni e senza troppa ricerca di visibilità.
Disponibile a qualsiasi confronto, La ringrazio e La saluto.
Luigi Casel, cittadino della Valle di Susa
LA TESTIMONIANZA DI RICCARDO, VIGILE DEL FUOCO
Riportiamo la lettera di un vigile del fioco che con semplicità ed efficacia racconta la sua esperienza di lotta contro il fuoco insieme ai volontari AIB e alle ragazze e ai ragazzi No TAV.
“Così fra le nostre due motoseghe e i 14 colleghi, una squadra di operai forestali, qualche AIB e tanti ragazzi NO TAV volenterosi è stata fatta una pulizia di tutte le zone circostanti l’abitato fino a pochi minuti prima dell’arrivo delle fiamme, quando ormai era troppo pericoloso e vennero invitati ad abbandonare la zona”.
Mompantero, 29 ottobre 2017
Salve, io mi chiamo Riccardo, sono un Caposquadra dei Vigili del fuoco, nella mia quasi trentennale carriera pensavo di aver visto di tutto, di più ma una simile devastazione del patrimonio boschivo per me è la prima volta.
Giunto a Mompantero da Torino mi venne affidato il compito di presidiare la frazione di Marzano, in quanto gli incendi boschivi avrebbero potuto interessare anche le abitazioni.
Da subito mi attivavo per capire quali forze e mezzi avevamo, e venni preso dallo sconforto. I tagli voluti dalla politica si fanno sentire, pochi uomini pochi mezzi e purtroppo alcuni solo parzialmente funzionanti, fra tutti avevamo solo 2 motoseghe.
Con due sole motoseghe era una partita già persa prima ancora di cominciare, ma la fortuna volle che a San Giuseppe in mattinata incontrai Daniele, un mio amico d’infanzia, il quale mi disse che si stava adoperando con tanti amici NO TAV per ripulire le zone boschive vicino le borgate. Non poteva offrire un aiuto migliore, un colpo di telefono e tempo meno di un’ora mi sono arrivati gli amici di Daniele.
Così fra le nostre due motoseghe e i 14 colleghi, una squadra di operai forestali, qualche AIB e tanti ragazzi NO TAV volenterosi è stata fatta una pulizia di tutte le zone circostanti l’abitato fino a pochi minuti prima dell’arrivo delle fiamme, quando ormai era troppo pericoloso e vennero invitati ad abbandonare la zona.
Non saranno mai abbastanza i ringraziamenti per questi ragazzi e ragazze, che invece di perdere tempo a scattare foto col cellulare, si sono rimboccati le maniche e hanno fornito un aiuto indispensabile senza il quale molto probabilmente la frazione di Marzano non esisterebbe più.
Grazie da parte mia, di tutti i colleghi permanenti e volontari e da parte di tutti quanti hanno partecipato a qualsiasi titolo, anche solo portandoci qualcosa da bere hanno fatto un gran bel gesto di altruismo.
In 27 anni non mi sono mai tirato indietro davanti alle fiamme e non volevo farlo di certo oggi, grazie per avermi aiutato, e ricordate che l’unione fa la forza, loro ci vogliono divisi.
IL RACCONTO DI DAVIDE GASTALDO
L’incendio in #Valsusa raccontato da dentro
Non ho scritto parecchie cose importanti su questa storia.
Ho parlato di un crimine non menzionando i colpevoli, né le motivazioni. Non ho scritto perché non so. Sappiamo che il rogo non è stato accidentale, sappiamo che è doloso.
Io sono convinto che gli autori siano più d’uno, però il movente non lo conosco, e credo non lo conosca nessuno.
Ma oltre agli autori materiali ci sono altri colpevoli, coloro che hanno deciso di spendere il denaro pubblico in armamenti e grandi opere inutili invece di usarli per la tutela e la sicurezza del territorio: incondannabili, ma colpevoli.
ALCUNE FOTO
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IL 1° COMUNICATO STAMPA : dall’UNIONE MONTANA, 26 ottobre 2017
Gli incendi dei boschi stanno devastando il versante nord della nostra Valle e i Vigili del Fuoco, i piloti dei Canadair e degli elicotteri, i Volontari AIB, la Protezione Civile, le Forze dell’Ordine e semplici cittadini si stanno impegnando al massimo per mettere al sicuro le persone, proteggere le abitazioni e spegnere le fiamme. Non si ricordano eventi di questa portata nella nostra storia recente. In questi casi, si deve dare la massima fiducia a chi conosce il territorio e le tecniche di intervento. Si dovrebbero accantonare le polemiche e aiutare, se richiesto, e per quanto possibile chi opera, senza dare consigli, proporre soluzioni o disquisire sui massimi sistemi di prevenzione, ricercare responsabilità. Tutto a tempo debito e a problema risolto.
Il Ministro Pinotti ha offerto l’appoggio dell’esercito, gesto apprezzabile e da utilizzare per le eventuali ricostruzioni. In questo frangente però può essere pericoloso l’impiego di militari non addestrati ad affrontare i problemi che crea una barriera di fuoco su un versante scosceso, nell’oscurità. Questo intervento deve essere richiesto e coordinato da chi a livello regionale sta gestendo l’emergenza.
Il Commissario Paolo Foietta ha proposto l’utilizzo delle compensazioni per il TAV in opere di prevenzione e risarcimento. Lo ringraziamo per il pensiero, ma non condividiamo questa impostazione. La prevenzione dagli incendi, come dalle alluvioni e dal dissesto geologico, devono essere affrontate in Valle di Susa, come in Val Soana, come al Sud con specifici capitoli di spesa, indipendenti dal discorso relativo alla nuova linea ferroviaria. Vale per lo sviluppo economico, le rotonde, i teatri, e tutto ciò che nel resto d’Italia è definito contributo pubblico e qui è definito compensazione.
La popolazione è preoccupata per la cappa di fumo che incombe sulle case e sulle vie. L’ARPA Piemonte sta monitorando l’atmosfera e dai primi rilievi non sembrano emergere valori preoccupanti o tali da richiedere provvedimenti di evacuazione dei centri abitati. Sino a diverso avviso possono consigliare provvedimenti minimali: ridurre l’attività all’aperto specie per bambini, anziani e persone con problemi respiratori.
Ringraziamo ancora tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo e le loro energie a fronteggiare questa calamità.
Il Presidente – Sandro Plano
IL 2° COMUNICATO STAMPA : da Sandro Plano Sindaco di Susa e Piera Favro Sindaca di Mompantero, 1 novembre 2017
INCENDIO e INSULTI
Nell’ultima settimana di ottobre il fianco nord della Valle è stato devastato da un incendio boschivo di dimensioni mai viste che in poco tempo, spinto da un vento fortissimo, ha bruciato intere foreste.
Le fiamme hanno minacciato il centro abitato, le frazioni e le baite in montagna di Mompantero e si è temuto per l’incolumità degli ospiti della casa di riposo San Giacomo di Susa In questi giorni di tensione abbiamo conosciuto a fondo molte persone e le loro reazioni di fronte alla crisi.
Uomini e donne che hanno avuto paura per la loro casa, oppure hanno perso la baita o sono stati sfollati. A questi si deve perdonare tutto: la rabbia, l’insulto, il nervosimo, l’irrazionalità, ma la maggior parte ha collaborato e capito la gravità del momento, non si è abbandonata alla disperazione e ha reagito a fianco di chi è venuto a soccorrere.
Con i Vigili del Fuoco e gli AIB, moltissimi hanno svolto bene il loro lavoro, amministrato, consigliato, si sono messi a disposizione, fatto errori in buona fede, espresso la solidarietà o sono stati semplici spettatori. Questo sforzo collettivo e forte ha evitato vittime, ha salvato tutte le case abitate e molte baite. A questi va la nostra totale gratitudine.
Qualcuno ha cercato di approfittare della situazione, ostacolato, qualcuno ha scatenato l’incendio per disattenzione, qualcuno forse ha volontariamente dato fuoco al bosco. Questi, se individuati, vanno denunciati.
Poi ci sono gli “altri”: i curiosi che intralciano, quelli che hanno cercato visibilità, oppure criticato, deriso, insultato.
In questo periodo abbiamo ricevuto telefonate anonime in piena notte. “Plano devi morire”, “Favro devi bruciare” sono due tra i commenti circolati su Facebook.
Siamo certi di aver fatto, con i nostri limiti, tutto quello che dovevano fare come Sindaci e questi insulti hanno nome e cognome, screenshot, testimoni.
Non dimentichiamo e non siamo disposti a porgere l’altra guancia.
Abbiano perciò dato l’incarico a un nostro legale per valutare se sussistono gli estremi di un’azione legale per vilipendio e diffamazione a Pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
OMAGGIO DI DOMENICO QUIRICO
Case salve ma alberi bruciati. “Così muoiono i nostri paesi”
La solidarietà nata in anni di lotta contro la Tav aiuta i montanari. “C’è dolore, non si può accusare la natura. Adesso ricostruiremo”
Seghino non è il nome di un paese. Qua e là una casa di pietra, un’abitazione ammodernata a puntino, un rudere di una stalla, un frutteto, un sentiero, una staccionata, una siepe, un ruscello.
Venti abitanti, qualcun altro che viene per il fine settimana ad aprire la baita dei padri e dei nonni. Quando ci siamo arrivati pareva di esser soli in tutta la valle, tanto c’era silenzio. Ed era uno stupore, un fragile incanto.
Questo è Seghino, un tratto qualsiasi della montagna della Val di Susa, accovacciato sotto un’ala del Rocciamelone, un tratto di mondo con un orizzonte chiuso da altre montagne, la città con l’autostrada i negozi la gente il treno è a un passo, pochi minuti di discesa impervia eppure remota; tiepido anche d’inverno perché il sole lo svela dall’alba al tramonto, una montagna che la vicinanza dell’Alpe rende solenne, di una misteriosa solennità come accade ovunque la natura rivela ancora una sua nuda forma antica, simile a quella delle origini del mondo.
Lungo tutta la fascia delle montagna piemontese sono infiniti i luoghi che somigliano a questo. Montagna senza sci e senza alberghi. L’avvenimento è una corsa a piedi in salita che sfiancherebbe un camoscio, e le battaglie contro l’Alta Velocità che qui hanno segnato l’emblematico inizio: la prima trivella il 31 ottobre del 2005 e la prima battaglia, che non è ancora finita. Un mesto ancoraggio di vita, faticoso campo di lavoro, dove tra un muretto a secco e un burrone, tra un castagneto e un focolare, le generazioni si susseguono strette, povera terra fatta cara dal ricordo dei vecchi, dal ricordo del lavoro, dal ricordo delle annate buone e di quelle cattive.«C’è gente che è scesa a valle per lavorare, sta dieci ore in fabbrica e poi risale qui. Ma non ha più forza e tempo per pulire il bosco, portar via le foglie e il secco ed ecco che gli incendi arrivano…».
Questa è Seghino che per la sua gente è una piccola patria, la piccola patria. Tre giorni fa dal monte è sceso l’incendio, arrivava da lontano il fuoco, da Bussoleno che in linea d’aria sono sette otto chilometri. Ha scalato gole, salito erte di pietra, ingoiato boschi. Ed è arrivato qui. Ieri la montagna fumava ancora come un’immensa caldaia, i Canadair e gli elicotteri facevano staffetta per lanciare acqua sui focolai che infiocchettavano quello che chiamano «il bosco nero» di fronte a Venaus e al cristiano miracolo di Novalesa. Basterebbe un soffio gagliardo di vento e… Eppure la gente, i 400 sfollati, su 600 abitanti, saliva di nuovo alle case con le borse e i fagotti con cui sabato era fuggita nella furia del fuoco che avanzava. E incontravi chi già spazzava la cenere e chi già veniva alla chiesetta di san Pietro, a un tornante che domina la valle, dove sono rimasti le bottiglie d’acqua vuote e i rifiuti lasciati da chi ha combattuto per ore contro le fiamme: per pulire e far tornare, almeno qui, tutto lustro. E al tornante di sotto trovavi i volontari che combattevano con una «ripresa del fuoco», che sembra imbattibile ed eterno.
«Forse voi che venite da fuori non potete capire: per noi Mompantero e Seghino non ci sono più. Certo, le case sono state salvate dalla lotta di tutti, vigili del fuoco Croce rossa volontari, ma il bosco e gli alberi sono morti e quello è anche il nostro paese, la nostra casa…».
Sono salito qui, ieri, per scoprire una piccola patria che si batte contro una modernità sentita come inutile, estranea, aggressiva e che si è trovata a lottare proprio con quella natura che vuole difendere ed amare, contro il fuoco e il vento. E ha vinto la battaglia salvando almeno uomini e case.
Non trovi gente infanatichita dal pericolo corso e dai danni, che strepita e accusa, neppure quelli che sono in prima fila nei cortei No Tav; ma parlano dell’incendio come di un avvenimento doloroso della loro famiglia, non per cercare la nostra pietà ma per espandere la loro. E anche dei piromani, di cui tutti sono certi, dicono senza odio, come di qualcosa che bisognerà accertare, primo o poi.
Centinaia di loro sono volontari del servizio antincendio: spesso sono arrivati da lontano, dove lavorano, alla notizia che la loro valle e il loro monte bruciavano. Hanno difeso le case, portato l’acqua con i trattori, i pick up, le auto, tagliando la vegetazione intorno, guidando i vigili del fuoco su per la montagna.
«È la solidarietà che qui nella valle è rinata nella lotta contro un’opera che consideriamo inutile e dannosa, una cosa antica ricostruita per fili sottili, nell’aiutarci l’un l’altro, nel fare da soli, scoppia un guaio grosso come un incendio e ci rimbocchiamo le maniche senza aspettare che qualcuno venga ad aiutarci…».
I volontari: stanno costruendo da soli, senza fondi, la loro sede a Bussoleno, in una vecchia scuola professionale andata in rovina, il Comune paga solo i materiali…
Quando entriamo nella valle è tutta piena di sole dentro al suo grande letto di verde. I monti, così ridenti alle falde, si fanno terribili di forme innalzandosi. La radio dell’auto trasmette le previsioni del tempo: l’annunciatore con giuliva insipienza dà per certi tempo bello, anticicloni ferrei, temperature in aumento. E qui contano i danni del «bel tempo». Perché Dio, ogni volta che si mette a perseguitare gli uomini, non conosce misura. Da giugno non è caduta acqua e il cielo resta terso, indifferente, sordo al muto appello della terra che ha sete. Le giornate si sono susseguite alle giornate senza che apparissero nuvole. Di notte le stelle corruscano senza ombre, crudelmente belle. La montagna, i boschi, si sono screpolati sotto il sole, sono avvizziti in strati pericolosi di foglie secche ed erba gialla. Aguzzi lo sguardo e vedi grandi macchie scure, come una lebbra nera che ha roso la pelle della montagna. Sono i boschi bruciati su su fino ai larghi prati del rifugio a duemila metri, ora neri come pece. Lì il fuoco si è fermato: perché non poteva mordere la pietra.
«Quindici anni fa ci fu un altro incendio, grande, il bosco cominciava a ricrescere, lentamente certo, con i roveri giovani… adesso di nuovo tutto è bruciato come se il tempo non fosse passato…».
E poi è stato il vento, anzi i venti. Perché oggi è lieve e fresco ed è una delle ragioni per cui l’incendio è stato domato. Ma domenica e sabato era furente, teneva a terra gli aerei e recava un alito caldo che investiva e circondava le cose solide, vive e le attaccava simile a un acido. Ha avvolto Seghino dentro sciarpe di fuoco e i pini in fiamme scivolavano e rimbalzavano con i massi roventi, staccati dal calore verso il basso, incendiavano in dieci cento luoghi diversi la montagna.
«Il fuoco sembrava ritirarsi e poi tornava, il vento soffiava verso l’alto e invece lo vedevano scendere in basso, verso il paese. Perché? Due volte ci ha circondato e ci è venuto addosso… Era una guerra… una guerra …».
SCRIVE UN CARABINIERE
Quella valle meravigliosa … persone dal carattere granitico come la roccia delle loro montagne e che sapranno risorgere anche in questo caso, a testa alta
Sono sempre restio a commentare avvenimenti su fb. Un po’ per la mia ritrosia alla ribalta e poi per evitare che le mie frasi possano essere fraintese dai “leoni da tastiera”.
Non posso tacere, tuttavia, quello che sta accadendo in Valsusa. Una terra bellissima, che mi ha ospitato per sei anni aprendomi, pur tra mille difficoltà, alle sue tradizioni.
Ebbene, quella Valle meravigliosa da settimane è devastata da incendi distruttivi che stanno incenerendo i suoi boschi; senza che i media nazionali, incredibile, ne diano notizie diffuse.
Vi chiedo, pertanto, di poter condividere quanto sta accadendo, per rispetto di quelle persone che stanno vivendo questo dramma.
Persone dal carattere granitico come la roccia delle loro montagne e che sapranno risorgere anche in questo caso, a testa alta.
Vi abbraccio Tutti.
Stefano Mazzanti, Maggiore dei Carabinieri
Treviso, 29 ottobre 2017